Flat tax, chi pagherà meno tasse

da orizzontescuola.it

In cosa consiste la nuova Flat tax?

La riforma fiscale giallo-verde messa a punto in queste settimane p unta su due aliquote secche: una del 15% per i redditi familiari fino a 80mila euro e una del 20% per i redditi superiori.

Quante tasse pagheremo?

La riforma dell’Irpef sembra aver raggiunto una sua prima forma da presentare ai cittadini. Innanzitutto, ad essere modificato è il concetto di “soggetto da tassare”. Infatti, con il nuovo sistema le aliquote saranno applicate a tutto il nucleo familiare, infatti bisognerà distinguere tre tipologie: i single, le famiglie monoreddito e le famiglie con due redditi, come riporta il Sole24Ore

Single

Per i single che guadagneranno tra i 20mila e i 30  mila euro annui, l’Irpef attuale prevede una tassazione di 3.461 euro nel primo caso e di 6.814 nel secondo.

Con la riforma i redditi di 20mila euro pagherebbero 2.550 euro con un risparmio del 4,6%, mentre per i redditi di 30mila euro la tassazione passerebbe a 4.050 con un risparmio del 9,2% sull’Irpef

Alzando i redditi, aumentano i risparmi:

40mila, risparmio 12,4%

50mila, risparmio 15,3%

60mila, risparmio 17,1%

80 mila, risparmio 19,5%

100mila, risparmio 16,2%

200mila, risparmio 19,6%

300 mila, risparmio 20,7%

Famiglie monoreddito

Per le famiglie monoreddito il risparmio sarebbe dell’1,9% per la fascia 20mila euro, mentre salirebbe a 7,7% sull’irpef  per i redditi fascia 30mila

Anche in questo caso il risparmio sale aumentando il reddito

50mila, risparmio 15,1%

60mila, risparmio 16%

80mila, risparmio 19,3%

100mila, risparmio 16,2%

200mila, risparmio 19,6%

300mila, risparmio 20,7%

Famiglie con due redditi

Ricordiamo che in questo caso le tasse saranno applicate alla somma dei redditi familiari. Pertanto la casistica che prenderemo sarà più ampia.

20mila, risparmio 0%

30mila, risparmio 0%

40mila, risparmio 1,6%

50mila, risparmio 4,6%

60 mila, risparmio 6,6%

80mila, risparmio 11,8%

100mila, risparmio 9,8%

200mila, risparmio 16,2%

300mila, risparmio 18,4%

Copertura finanziaria

Tra le ipotesi di copertura finanziaria c’è quella dei tagli alle spese avviando una spending review che permetta di individuare “voci inutili”. Ma non è da escludere anche l’aumento dell’Iva al 24% previsto nelle clausole di salvaguardia.

Calcolo pensione netta: come sottrarre le tasse dall’importo lordo

da money.it

Sapere come si calcola l’importo netto della pensione – sottraendo le tasse alle quali questa è soggetta dall’importo lordo – è molto importante.

Una volta raggiunti i requisiti per la pensione, infatti, a seconda del sistema di calcolo al quale è soggetto il lavoratore, l’INPS procede con il calcolo dell’assegno previdenziale che questo andrà a percepire.

A seconda del regime di calcolo in cui questo rientra (retributivo, misto o contributivo) l’importo della pensione sarà più o meno alto, ma c’è un’importante precisazione da fare: in ogni caso l’importo della pensione è calcolato al lordo e per avere un’idea più precisa di quanto si andrà a percepire bisogna capire quali tasse che ogni mese vengono trattenute.

Aliquote Irpef

Per capire come si calcola la pensione netta da quella lorda, quindi, bisogna partire con l’analizzare le aliquote Irpef.

Queste variano a seconda dello scaglione di reddito al quale fanno riferimento; più questo sarà alto e maggiore sarà l’aliquota Irpef da applicare, ed è per questo che chi percepisce una pensione elevata paga più tasse rispetto a chi ha un assegno più contenuto.

Nel dettaglio, le aliquote Irpef sono le seguenti:

  • reddito inferiore a 15 mila euro: 23%;
  • reddito compreso tra 15mila e 28mila euro: 27%;
  • reddito compreso tra 28mila e 55mila euro: 38%;
  • reddito compreso tra 55mila e 75mila euro: 41%;
  • reddito superiore ai 75mila: 43%.

Ciò non significa però che sul reddito superiore ai 75mila si applica interamente l’aliquota del 43%. Prendiamo ad esempio un assegno di 80mila euro annui. Questo sarà così tassato:

  • i primi 15mila euro al 23%, quindi la tassazione è di 3.450€;
  • i successivi 13mila euro al 27%, per una tassazione di 3.510€;
  • i 27mila euro (fascia di reddito che va dai 28mila ai 55mila euro) al 38%, per una tassazione di 10.260€;
  • altri 20mila euro al 41%, per una tassazione di 8.200€;
  • infine, gli ultimi 5mila euro che eccedono la soglia dei 75mila sono tassati al 43%, per un totale di 2.150€.

Complessivamente, quindi, la tassazione da pagare sugli 80mila euro di reddito annuo è pari a 27.570€. Queste però non sono le sole tasse da pagare sull’importo della pensione poiché ci sono da calcolare anche le addizionali regionali e comunali che, come tali, variano a seconda della zona in cui si risiede.

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Usucapione nel condominio

da studiocataldi.it

Nel condominio la coabitazione di più comproprietari si concreta nella condivisione dell’uso delle parti comuni. Accade però che uno dei partecipanti al condominio utilizzi in via esclusiva un bene condominiale (o una parte del bene condominiale) generando una situazione idonea all’acquisizione della proprietà esclusiva per usucapione.

Innumerevoli gli interventi che approdano alla Suprema Corte sull’argomento e molto variegata la casistica: ripostiglio del sottoscala, area riservata a parcheggio, aperture lucifere, assegnazione nominativa dei posti auto, ecc.

Senza dubbio il Condominio è argomento giuridico molto spinoso e discorrere di usucapione nel Condominio lo è altrettanto.

“Rapporto con il bene” e “continuità del possesso” nell’ambito del Condominio, ove esistono più proprietari che hanno il paritetico diritto di utilizzare le parti comuni, si sostanziano in una condizione di possesso già esistente, che va, pertanto, considerata in rapporto a potenziali situazioni di usucapione.

Il possesso idoneo alla maturazione dell’usucapione (ovverosia il cosiddetto possesso uti dominus) nel condominio deve essere esercitato con particolari e stringenti caratteristiche rispetto alla situazione in cui il possessore è estraneo rispetto al bene.

Vi è da considerare, inoltre, che la comproprietà non si estingue per il non uso con la conseguenza che il condomino che non usufruisce della parte comune ne rimane comunque proprietario.

Sul punto la Suprema Corte è ferma nell’assunto che per provare il possesso continuo, pacifico e indisturbato non rileva che gli altri condomini comproprietari si astengano dall’uso della cosa comune, ma è necessario che si verifichi una utilizzazione esclusiva fornendo la dimostrazione che il singolo comproprietario che invoca l’usucapione ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di utilizzo che spetta agli altri condomini comproprietari.

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Regolamento europeo privacy e condominio: cosa c’è da sapere

da idealista.it

Il 25 maggio è entrato in vigore il Gdpr, il nuovo regolamento europeo in materia di trattamento dei dati personali. Ma quali saranno gli effetti della nuova normativa sui condomini e su chi ci abita. A spiegarlo sono i nostri collaboratori di condominioweb.

Dal 25 maggio chiunque effettua operazioni “con o senza l’ausilio di processi automatizzati” su dati personali, è soggetto alla norma e alla sua applicazione.

L’amministratore di condominio utilizza necessariamente i dati dei condomini e di chiunque detiene un diritto reale o di godimento di un immobile presente all’interno del condominio, e svolge ogni giorno operazioni sui dati personali per gestire il bene comune.

Pertanto dovrà preoccuparsi di rispettare il regolamento in ogni sua parte tenuto conto della responsabilità e risarcimento del danno (art. 82 Reg. UE 2016/679) e delle sanzioni (artt. 83-84 Reg. UE 2016/679).

Ma le incombenze del GDPR (General Data Protection Regolation) sono a carico del condominio o dell’amministratore?

Per rispondere a questa domanda ricordiamo quanto stabilito dal Garante con provvedimento del 18 maggio del 2006 doc. Web n. 1297626.

Il Condominio è riconosciuto come “Titolare del trattamento dei dati” cioè colui che assume “le decisioni in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento di dati personali e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicurezza” (art. 4 c. 2 lett. f D.Lgs 196/2003).L’amministratore può essere nominato in veste di responsabile del trattamento ai sensi degli artt. 4, comma 1, lett. g), e 29 D.Lgs 196/2003 vale a dire colui che per conto del titolare svolge i compiti assegnati utilizzando i dati personali raccolti dal titolare secondo determinate finalità.

Quindi già dal 2006 il Garante chiariva i compiti, i ruoli e le incombenze per il trattamento dei dati nel mondo condominiale.

In questi anni c’è stata poca preoccupazione e attenzione da parte degli amministratori di condominio anche se sono diversi i provvedimenti del Garante che hanno coinvolto la categoria.

Con il GDPR, l’approccio al trattamento dei dati cambia e non può più essere trascurato questo aspetto. Il Titolare del trattamento dei dati rimane il Condominio che per sua natura, non essendo dotato e organizzato con struttura propria, demanda all’amministratore, quale professionista esterno, quasi tutti i trattamenti.

A differenza del D. Lgs 196/2003, che come da comunicazione del Consiglio dei Ministri n. 75 del 21 marzo 2018 verrà abrogato a far data dal 25 maggio 2018 e ” la nuova disciplina in materia sarà rappresentata principalmente dalle disposizioni del ..….

Regolamento immediatamente applicabili e da quelle recate dallo schema di decreto volte ad armonizzare l’ordinamento interno al nuovo quadro normativo dell’Unione Europea in tema di tutela dellaprivacy”, il Regolamento UE 2016/679 amplia le responsabilità e i doveri del titolare e del responsabile del trattamento. In particolare il titolare, condominio, (art. 24 Reg.

UE 2016/679), attraverso l’assemblea e/o il suo legale rappresentante, dovrà, a seconda del contesto e delle finalità dei trattamenti, valutare i rischi per i diritti e le libertà delle persone fisiche mettendo in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire e dimostrare il rispetto del Regolamento.

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Permessi legge 104 se non tutti i mesi li chiedo, l’INPS li può togliere?

da investireoggi.com

Permessi legge 104, il quesito di un nostro lettore (investireoggi.com):

Buongiorno sig.ra Angelina voleva chiederle una cosa io ho mia moglie invalida con un tumore al seno e varie patologie,usufruiscono della legge 104 ma non tutti i mesi chiedo i permessi, non usufruendone c’è rischio che l’INPS me la possa togliere. Grazie mille attendo una sua risposta.

Permessi legge 104, chi ne ha diritto

Le condizioni essenziali per poter richiedere i permessi Legge 104/92 per assistere il familiare sono:

  • certificazione di handicap in situazione di gravità (art. 3 comma 3 Legge 104/1992);
  • non sia ricoverato a tempo pieno, intendendosi con ciò, il ricovero per le intere ventiquattro ore presso strutture ospedaliere o simili, sia pubbliche che private, che assicurano assistenza sanitaria continuativa.

Permessi legge 104, i 3 giorni anche frazionati

Il lavoratore con disabilità (in situazione di gravità, ai sensi dell’art.3, comma 3 della legge 104)  o il lavoratore che accudisce un familiare con handicap grave, con rapporto di lavoro pubblico o privato, anche a tempo determinato, può usufruire alternativamente dei permessi di tre giorni mensili, anche frazionati, (a prescindere dall’orario della giornata) o di permessi orari giornalieri (per ciascun giorno lavorativo del mese) nella seguente misura:

  • due ore al giorno per un orario giornaliero pari o superiore alle sei ore;
  • un’ora al giorno per un orario giornaliero inferiore alle sei ore.

E’ importante chiarire che i permessi accordati alle persone con handicap in situazione di gravità sono istituiti dalla legge, con previsione generale per il settore pubblico e per quello privato.

Permessi legge 104, se non ne usufruiscono l’Inps me li toglie?

Anche se il lavoratore non ne fruisce tutti i mesi, l’Inps non può toglierli. I permessi legge 104 art. 3 comma 3, si perdono solo nel caso che vengono a mancare i requisiti. Ad esempio ad una revisione del verbale legge 104, non viene riconosciuta più la gravità, oppure se il familiare viene ricoverato in struttura h24.

 

Imu E Tasi 2018: Novità Scadenze E Pagamenti, Sono Previsti Aumenti?

da notizieora.it

Imu e Tasi 2018, la prossimala scadenza fissata per il 16 giugno slitta al 18 giugno. L’ultimo giorno per i contribuenti di versare le imposte che ruotano intorno alla casa. Una breve panoramica di cosa rappresentano realmente queste imposte e le rispettive scadenze da calendario.

Cosa rappresenta l’Imu 2018 per il contribuente: chi la paga?

L’Imu non è altro che una tassa municipale il cui pagamento spetta in relazione all’immobile di proprietà del contribuente. Si tratta, di un’imposta che si applica su diversi immobili, quali:

  • seconda casa;
  • immobili commerciali;
  • terreni e negozi.

Quali proprietà sono escluse dal pagamento Imu? Le abitazioni principali e le corrispettive pertinenze.  Il pagamento della prima casa avviene in ragione dell’accatastamento rientrante in A/1, A/8 e A/9, si tratta di categorie a cui va applicata un’aliquota ridotta, con una detrazione di circa duecento euro.

Cosa rappresenta la Tasi per il contribuente: perché è tenuta a pagarla?

La Tasi è un’imposta rivolta all’intera comunità il cui pagamento serve a sostenere i costi relativi ai servizi comunali, come possono essere i costi per l’illuminazione delle strade comunali, la cura nonché prosperità del verde, la pulizia delle strade cittadine ecc. Considerato che si tratta d’imposta rivolta alla comunità, viene pagata da tutti i cittadini.

Quali categoria di immobili locati devo pagare l’imposta Imu e Tasi?

Sono imposte che investono tutti gli immobili indipendentemente se locati oppure no. Tuttavia la legge, prevede delle riduzioni o semplificazioni relative all’importo dell’imposta. Infatti, qualora l’immobile viene concesso in comodato d’uso a soggetti che rientrino nella sfera familiare come i parenti di primo grado, entrambe le imposte subiscono uno sconto pari al 50% sull’imponibile da versare.

Nel caso in cui, l’immobile viene concesso in affitto con canone concordato le imposte subiscono uno  sconto  pari al 25% .

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Aborto, la legge 194 compie 40 anni

da adnkronos.it

Compie 40 anni la legge sull’aborto, frutto di un’aspra battaglia sociale, politica ed etica. A volere una norma che riconoscesse il diritto per le donne all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) furono soprattutto i radicali, appoggiati da altre forze politiche laiche e da realtà sociali. Nacque così la legge 22 maggio 1978, nota come 194, poi confermata da un referendum nel 1981. Sino ad allora l’aborto veniva effettuato in modo clandestino e il discrimine era il ceto sociale ed economico delle donne.

Le donne con maggiori possibilità economiche, infatti, si rivolgevano ai medici cosiddetti “cucchiai d’oro”, che facevano pagare esorbitanti parcelle cliniche per l’intervento, oppure si rivolgevano a cliniche oltre confine. Le meno abbienti si rivolgevano alle cosiddette “mammane” o, a volte ricorrevano da sole a pratiche pericolose (ferri da calza). Non si conosce il numero di donne morte per emorragie e complicanze successive. Ma quale e’ il ”percorso” che ha portato alla legge approvata il 22 maggio 1978?

Nel 1971 la corte costituzionale dichiara illegittimo l’art.553 del Codice penale che prevedeva come reato la propaganda degli anticoncezionali. Sempre nel 71, il 7 giugno, viene presentato il primo progetto di legge dai senatori socialisti Banfi, Caleffi, Fenoaltea. Ad ottobre viene presentato alla camera, sempre a firma socialista, un altro progetto. Le due proposte non vennero discusse.

Tre anni dopo, l’11 febbraio del 1974 – in coincidenza con i patti lateranensi- Loris Fortuna presenta un nuovo progetto su cui convergono l’appoggio del Partito radicale e del Mld (movimento liberazione della donna). Il 18 febbraio del 1975 la Corte Costituzionale, a seguito di un ricorso presentato dal giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, dichiara parzialmente illegittimo l’art.546 del Codice penale. Veniva cioè riconosciuta la legittimità dell’aborto terapeutico.

Dietro queste spinte il 29 aprile del 1975 il Parlamento approva la legge 405 per l’istituzione dei consultori familiari, che hanno tra gli scopi la divulgazione dei mezzi contraccettivi. Tra febbraio e aprile 1975 vengono presentate sei proposte di legge sulla materia. Una e’ quella socialista già presentata.

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Liti condominiali: 10 cose da sapere

da laleggepertutti.it

Tra i conflitti condominiali più ricorrenti ci sono quelli relativi ai rumori molesti, all’approvazione e ripartizione delle spese, all’utilizzo delle parti comuni (pianerottoli, ascensore, terrazza) e al recupero delle quote dai morosi. Chi vuol vivere serenamente in condominio non ha, in verità, che da rispettare poche regole, che poi sono le stesse della civile convivenza tra persone  educate. Gli impegni contrattuali, quando si vive “muro a muro”, dovrebbero venire dopo il rispetto reciproco. In questo articolo ti diremo quelli che, sulla base dell’esperienza delle aule giudiziarie, sono gli errori più comunemente commessi all’interno degli edifici e che, di solito, fanno perdere le cause. Vediamo quindi quali sono le cose da sapere sulle liti condominiali.

Pignoramento condomino moroso

da laleggepertutti.it

Non hai pagato le quote di condominio; sono diversi mesi che ti è arrivata la diffida dell’amministratore con cui ti veniva intimato il versamento degli oneri calcolati in base ai tuoi millesimi, ma da allora non hai saputo più nulla. Ti chiedi se questo silenzio sia dovuto all’inerzia, all’indifferenza, alla lentezza delle pratiche di riscossione o se sia piuttosto premonitore di conseguenze ben peggiori come, ad esempio, un’azione legale nei tuoi confronti.

Ciò che temi è che, sul più bello, ti possa arrivare una ingiunzione di pagamento o, peggio, un pignoramento dello stipendio o della stessa casa. Il tuo scopo è certo quella di tirarla alle lunghe il più possibile, magari sperando in una prescrizione per il decorso del tempo, ma dall’altro lato non vuoi rischiare di pagare il doppio di quella che era l’iniziale cifra. Dovresti essere un avvocato per aver chiara la situazione e la tua condizione di debitore; in alternativa puoi leggere attentamente questo articolo in cui ti spiegheremo, per filo e per segno, quali sono le procedure legali che si possono attivare nei confronti di chi non paga le quote condominiali e come avviene il pignoramento del condomino moroso.

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Convocazione di un condomino residente all’estero

da condominioweb.com

e uno dei condòmini è residente all’estero, quanto tempo prima dello svolgimento dell’assemblea bisogna comunicargli l’avviso di convocazione?

Questa, nella sostanza, la domanda che ci viene fatta da un nostro lettore, giovane amministratore di condominio, riguardo ad un caso che gli è capitato di affrontare.

La questione è sicuramente interessante e per chi è addentro alla materia delle comunicazioni/notificazioni, sicuramente foriera di qualche dubbio, posto che in ambito processuale le differenze esistono.

Entriamo nel dettaglio.

Comunicazione dell’avviso di convocazione

Com’è noto la materia è stata oggetto di rimaneggiamento ad opera della legge n. 220 del 2012, la così detta riforma del condominio.

Come ed entro quali termini va comunicato l’avviso di convocazione?

L’art. 66 delle disposizioni di attuazione specifica che il documento in esame dev’essere comunicato:

  • a mezzo raccomandata;
  • per fax;
  • via p.e.c.;
  • tramite consegna a mani.

=> Avviso di convocazione dell’assemblea in caso di assenza del condomino.

Quanto al termine, è specificato che l’avviso dev’essere comunicato entro cinque giorni dallo svolgimento dell’assemblea in prima convocazione.

La giurisprudenza – ormai consolidata – ha chiarito che per comunicazione bisogna intendere ricezione dell’avviso di convocazione entro il termine indicato.

Quanto al conteggio, anche qui è pacifico che si tratti di giorni non liberi, ossia che nel computo non va considerato il giorno di ricezione, ma si deve conteggiare quello di svolgimento in prima convocazione.

Esempio: ricevo la convocazione il giorno 1, il conteggio inizia dal giorno 2, allora l’avviso di convocazione sarà tempestivo se la prima convocazione è indetta non prima del giorno 6.

Quanto al concetto di ricezione, anche qui non vi sono dubbi. Come ha più volte affermato la Suprema Corte di Cassazione, la ricezione si dà per avvenuta, se non avvenuta in mani proprie del destinatario o di un suo delegato, al momento della immissione nella cassetta postale dell’avviso di giacenza del plico (così, tra le tante, Cass. 6 ottobre 2016 n. 23396), addirittura non considerandosi la circostanza che poi il plico sia reso immediatamente disponibile.

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