“Conosciamo i nostri diritti” in condominio: tutela della proprietà privata

da laleggepertutti.it

Tutela della proprietà privata

Al fine di tutelare la proprietà privata, il condomino è libero di installare dei doppi infissio delle inferriate poiché, secondo la giurisprudenza, prevale l’esigenza della sicurezza che non il piccolo danno all’estetica dell’edificio.

Allo stesso modo il condomino può installare un impianto di videosorveglianza sul pianerottolo di casa. Attenzione però: per non incorrere nel reato di «interferenze illecite nella vita privata» (ossia nella lesione dell’altrui privacy) sarà necessario non puntare l’occhio della telecamera sugli spazi comuni o sulla porta del vicino.

Sempre a tutela della propria privacy si ha il diritto di non mettere la targhetta col proprio nome sul citofono. L’amministratore non può imporre infatti di rendere riconoscibili i nomi dei proprietari.Sempre a tutela della propria privacy si ha il diritto di non mettere la targhetta col proprio nome sul citofono. L’amministratore non può imporre infatti di rendere riconoscibili i nomi dei proprietari.

“Conosciamo i nostri diritti” in condominio: uso delle parti comuni

da laleggepertutti.it

Le norme di riferimento in condominio

Prima di elencare quali sono i diritti di chi vive in condominio andiamo a vedere cosa dice la legge. Due sono gli interessi che il condomino intende tutelare: la proprietà del proprio appartamento(che è una proprietà esclusiva e integrale) e la proprietà delle parti comuni del palazzo (che invece è una proprietà condivisa e per una semplice quota pari al valore dei propri millesimi).

Per quanto riguarda la proprietà dell’appartamento vigono le stesse regole (e quindi i medesimi diritti e doveri) di qualsiasi altro immobile. Inutile stare a dire quindi che il titolare può fare del proprio appartamento ciò che vuole: può fare lavori di ristrutturazione, modificare la piantina, cambiare la destinazione d’uso (ad esempio adibirlo a uso ufficio o attività commerciale), ricevere ospiti o clienti; può affittare stanze o farne un bed and breakfast. Tutto ciò rientra nei poteri del proprietario, salvo che il regolamento di condominio lo vieti espressamente. Affinché il regolamento possa vietare al proprietario dell’immobile un particolare uso o attività (fosse anche lo stendere i panni o collocare vasi da fiore dal balcone) dovrebbe essere approvato all’unanimità. L’unanimità costituisce infatti una sorta di autolimitazione al diritto di proprietà che lo stesso titolare ha voluto ed acconsentito; per cui solo così sono valide le limitazioni all’uso dell’immobile. Affinché tali limiti siano poi validi e opponibili nei confronti dei successivi acquirenti dell’appartamento, il regolamento di condominio deve essere trascritto nei pubblici registri immobiliari (insieme all’immobile in questione) oppure allegato all’atto stesso di vendita.

Uso delle parti comuni del palazzo

Più limitato è il diritto del condomino all’uso delle parti comuni dell’edificio: dai muri perimetrali alle parti interne (scale, androne, garage sotterraneo), dal cortile alla terrazza che copre l’edificio o, in sua assenza, il tetto. Qui vige il seguente principio: ciascun condomino può utilizzare le parti comuni dell’edificio purché rispetti le seguenti regole:

  • non può impedire agli altri condomini di fare lo stesso uso del bene. Questo significa, ad esempio, che si può ben utilizzare il tetto del palazzo per apporre un impianto fotovoltaico a condizione che si lasci lo spazio necessario anche agli altri per fare altrettanto; si può parcheggiare un’auto del cortile scoperto ma non anche la seconda o la terza o un camper, togliendo spazio agli altri; si può utilizzare il lastrico solare (meglio conosciuto come “terrazza”) ma non impedire agli altri condomini di accedervi e farne magari lo stesso uso (ad esempio per stendere i panni o come ripostiglio);
  • non utilizzare il bene per uno scopo diverso rispetto a quello per il quale è nato (dovere di non modificare la destinazione d’uso). Ad esempio, anche se non si dà fastidio a nessuno, non si può lasciare la bicicletta o la moto nell’androne dell’edificio, legata con un lucchetto all’inferriata delle scale, poiché l’ingresso ha un’altra funzione; non si può utilizzare il giardino come parco giochi dei bambini o, viceversa, il parcheggio per creare un campo di calcio;
  • nel momento in cui si intende eseguire una costruzione, all’interno o all’esterno del proprio appartamento (si pensi a una veranda che copra il balcone) non si può pregiudicare la stabilità del palazzo né si può ledere il suo decoro architettonico (ossia l’estetica).

Nel rispetto di tali limiti è possibile quindi utilizzare le parti comuni dell’edificio senza dover chiedere il permesso a nessuno. Ad esempio è possibile:

  • installare l’antenna sul tetto dell’edificio;
  • installare sulla terrazza un pannello fotovoltaico e poi far transitare i fili all’estero del palazzo;
  • piantare dei fiori o degli “odori” sulle aiuole del condominio (ad esempio prezzemolo, basilico, ecc.);
  • apporre una targa sul muto del palazzo in caso di studi professionali o altre attività commerciali;
  • usare la terrazza di copertura per posare oggetti propri o per stendere i panni o come angolo per prendere il sole;
  • apporre un condizionatore sulla facciata dell’edificio (se non lede il decoro);
  • far passare fili in prossimità del balcone del vicino di casa. Questo significa che nessun condomino potrà opporsi a che i tecnici della televisione ancorino i cavi dell’antenna alla parete dell’edificio senza passare sulle proprietà private;
  • aprire un varco o una porta su un muro condominiale, magari per consentire l’accesso alla proprietà esclusiva di uno dei condomini. Ogni condomino ha infatti diritto di apportare le modifiche che gli consentono un’utilità supplementare rispetto agli altri condòmini. Come detto sopra, tale facoltà è concessa a condizione che non venga impedito il concorrente utilizzo del bene comune, che non ne sia alterata la naturale destinazione e che non venga pregiudicata la stabilità e il decoro dell’edificio condominiale;
  • creare una veranda sul proprio terrazzo senza dover per questo chiedere il permesso all’amministratore o all’assemblea (salvi ovviamente i permessi amministrativi del Comune). Anche in questo caso, sarà necessario rispettare l’estetica della facciata;
  • sopraelevare sull’ultimo piano creando un’altra costruzione (leggi Si può sopraelevare sull’ultimo piano?).

Nel caso di persona con disabilità, essa può chiedere all’assemblea che vengano eseguiti lavori per l’abbattimento delle barriere architettoniche, addossando i costi alla compagine condominiale secondo millesimi. L’assemblea approva a maggioranza dei presenti che devono costituire almeno la metà dei millesimi dell’edificio. Se il voto è negativo, l’interessato può ugualmente provvedere ai lavori, ma assumendone i costi personalmente.

Uso dei servizi e degli spazi comuni

Spesso le dispute tra i condomini riguardano l’uso delle parti comuni e dei servizi come, ad esempio, l’ascensore. Ciascun condomino può utilizzare l’ascensore o bloccarlo per qualche secondo senza perciò temere contestazioni da parte degli altri condomini. Può allo stesso tempo utilizzare il giardino, il campo di calcio o di tennis, la piscina e tutto ciò che offre il condominio senza dover rispettare turni, salvo siano disposti dall’assemblea.

Eccezionalmente l’amministratore di condominio può inibire l’uso dei servizi comuni suscettibili di godimento separato nei confronti di chi non paga le quote (si pensi alla restituzione del telecomando per la sbarra del parcheggio comune, all’utilizzo dell’ascensore con delle schede rilasciate solo a chi è in regola con i pagamenti). A riguardo la giurisprudenza ritiene che non si possa togliere l’acqua o il riscaldamento al moroso trattandosi di beni indispensabili alla sopravvivenza.

Si può usare il marciapiede condominiale per lasciare cibo in pasto ai randagi a condizione che si lasci il luogo pulito e ciò non costituisca un rischio per l’igiene e la sicurezza dei condomini (si pensi alla possibilità che topi e insetti vadano ad attingere dagli avanzi).

Animali in condominio? Vietato vietarli

da coratoviva.it

Le discussioni in condominio sono sempre molto frequenti. La presenza di animali è tra le cause principali di liti condominiali, e spesso ci si vede in tribunale.

La legge n. 220/2012 di riforma del condominio, entrata in vigore dal 18 giugno 2013, ha aggiunto un ultimo comma all’art. 1138 c.c., specificando che nessun tipo di regolamento, contrattuale o assembleare, può vietare ai singoli condomini di possedere un animale domestico. Tale divieto, infatti, comporterebbe una limitazione dei diritti delle persone agli affetti familiari.

Che cosa accade se il divieto è contenuto all’interno di un regolamento antecedente la riforma? In tal caso, in forza del principio di irretroattività della legge, il divieto resta tale. L’unica soluzione possibile per consentire ai condomini di possedere un animale domestico è quindi la modifica del regolamento.

Contrariamente a quanto si possa pensare, la norma riformata autorizza di fatto l’utilizzo delle parte condominiali comuni, perché proprietà di tutti i condomini. Come non si può vietare al condomino di possedere un animale, non gli si può nemmeno vietare, ad esempio, l’uso dell’ascensore o del giardino condominiale, purché non sporchi ed emetta odori particolari. Con riferimento alle parti comuni, infatti, trova applicazione l’art. 1102 c.c., che impone di contemperare gli interessi di tutti i comproprietari, garantendo il pieno e libero uso e godimento da parte di ciascuno senza, però, abusi in danno agli altri.

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Condominio: chi decide i contratti per i lavori?

da studiocataldi.it

La gestione di un condominio è un’attività tutt’altro che semplice. Ecco perché la recente riforma ha voluto disegnare la figura dell’amministratore come una vera e propria professione. È dall’esercizio continuativo di tali compiti che si maturano le esperienze e i contatti necessari a rendere più semplice ed agevole la gestione degli edifici. In questo modo, peraltro, è possibile avere a riferimento gli stessi interlocutori per i lavori da eseguire nei vari palazzi come, ad esempio, la ditta per la riparazione dell’ascensore, il fabbro per la sostituzione del tamburo della serratura del portone d’ingresso, l’elettricista per la sostituzione delle luci fulminate, per il cancello del garage o per la sbarra metallica del parcheggio, l’impresa che si occupa dello spurgo, il giardiniere, ecc. Si tratta, infatti, di compiti da gestire nel quotidiano che necessitano di interventi rapidi e agevoli, in modo da non compromettere gli interessi dei proprietari degli appartamenti. Convocare l’assemblea per ogni necessità di questo genere sarebbe oltremodo oneroso e defatigante. Ciò detto, è giusto chiedersi: in condominio, chi decide i contratti per i lavori?

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Divorzio, la legge sull’assegno: carcere per chi non paga

da ilgiornale.it

Da domani infatti entra in vigore l’articolo 570 bis del codice penale che prevede il carcere fino a un anno o una multa fino a 1.032 euro per l’ex coniuge che si sottrae “agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge”.

Si amplia la tutela legale che il codice penale offre in ambito familiare, sia da un punto di vista soggettivo (tutela estesa dai soli discendenti anche agli ex coniugi) che oggettivo (il reato verrà commesso non solo da chi faccia mancare i mezzi di sussistenza, ma anche da chi ometta di versare l’assegno di mantenimento)“, spiega all’Adnkronos l’avvocato Giuseppe Mauro, specializzato in diritto di famiglia. “L’art. 570 limitava la pena al genitore che faceva mancare i mezzi di sussistenza ai propri discendenti, generalmente ai propri figli. Ora quelle pene si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli

Fino ad oggi il reato, punibile penalmente, si generava solo nel caso in cui il coniuge facesse mancare al figlio cibo, vestiti o una casa dove avitare. Ma non a chi, spiega Mauro, “a fronte di un assegno di mantenimento di 1000 euro, decideva arbitrariamente di versarne 500“.

Il carcere è solo una minaccia? Secondo l’avvocato Marco Meliti “la legge serve da ammonimento”, ma dopo “più sentenze il carcere è davvero un rischio”.

 

 

Violenza domestica in condominio: l’omertà è un reato?

da studiocataldi.it

Quello della violenza domestica è un allarme sempre acceso e le recenti storie di cronaca confermano che, purtroppo, la famiglia non per tutti rappresenta un porto sicuro nel quale rifugiarsi ma che anzi troppo spesso diviene un luogo dal quale fuggire.

Il ruolo dei vicini di casa

Specie nei condomini sono tante, troppe, le persone che sanno e non agiscono, che preferiscono chiudere gli occhi, tappare le orecchie e fingere di non sapere che al di là del muro ci sono storie di donne maltrattate o bambini ai quali viene quotidianamente rubato un pezzo di infanzia.

Invece, molte volte gettare lo sguardo oltre i confini del proprio appartamento e tentare di intervenire nelle vicende familiari altrui non è una mancanza di rispetto o una violazione della privacy, ma un atto dovuto che può evitare tante tragedie. E ciò anche se il dovere è solo morale e non giuridico.

Niente reato per l’omertà

Il nostro sistema penalistico, infatti, non considera l’omertà come un reato, salvo alcuni casi specifici ed eccezionali in cui l’omessa denuncia assume rilevanza giuridica.

Di conseguenza, a tacere non si rischia niente o meglio: non si rischia di dover fare i conti con la legge. Magari, però, con la propria coscienza sì.

Si evitano, insomma, beghe con la giustizia e con i vicini ma non sempre si riesce a evitare il rimorso di non aver agito e di non aver provato a combattere contro qualcosa che, magari, poteva essere vinto.

L’omessa denuncia

Si è detto che in alcuni casi eccezionali l’omessa denuncia diventa penalmente rilevante.

Per completezza va allora precisato che tale fattispecie di reato è integrata dal pubblico ufficiale quando omette o ritarda di denunciare all’Autorità giudiziaria, o a un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni.

 

Hotel e condominio insieme: così si recuperano gli alberghi in crisi

da ilcambiamento.it

Sono stati battezzati “condhotel” e potranno diventare realtà nel nostro paese dal 21 marzo, giorno in cui entrerà in vigore il decreto numero 13 del 2018 che introduce la possibilità di realizzare una sorta di ibrido tra condominio e albergo. La finalità è quella di “diversificare l’offerta turistica e favorire gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti sul territorio”. E anche gli hotel che risentono della crisi del turismo possono “ripensarsi” e contribuire alla risoluzione del problema casa che in non poche persone hanno.

Che cos’è il condhotel
Nella formula del condhotel, il proprietario di un albergo può vendere una camera (con cucina) in modo che l’ospite sia indipendente e autonomo. Chi acquista questo genere di camera potrà utilizzarla esclusivamente per scopi propri, ad esempio per trascorrere le vacanze estive o natalizie, e darla in affitto in “periodi morti”, affidando l’incarico al gestore della struttura alberghiera, con cui dividerà il guadagno totale. «Il proprietario della struttura alberghiera può decidere di trasformare in appartamenti da vendere con la formula del condhotel una porzione della struttura esistente, fino a un massimo del 40% della superficie – spiegano dallo studio legale Cataldi che sta seguendo il provvedimento – Oppure aggregare a un hotel esistente un certo numero di appartamenti ubicati nelle immediate vicinanze (massimo 200 metri lineari)».

Da un lato, possono trarne beneficio i turisti particolarmente affezionati a un hotel o a un luogo di vacanza, dall’altro ci sono gli albergatori che potrebbero incamerare risorse da investire sullo svecchiamento delle strutture.

Condhotel: i requisiti
Tra le condizioni necessarie per l’esercizio vi sono:

– la presenza di almeno sette camere, al netto delle unità abitative ad uso residenziale;

– la presenza di portineria unica per tutti coloro che usufruiscono del condhotel, sia in qualità di ospiti dell’esercizio alberghiero che di proprietari delle unità abitative a uso residenziale, con la possibilità di prevedere un ingresso specifico e separato ad uso esclusivo di dipendenti e fornitori;

– la gestione unitaria e integrata dei servizi del condhotel e delle camere, delle suites e delle unità abitative arredate destinate alla ricettività e delle unità abitative ad uso residenziale;

– l’esecuzione di un intervento di riqualificazione, all’esito del quale venga riconosciuta all’esercizio alberghiero una classificazione minima di tre stelle;

– il rispetto della normativa vigente in materia di agibilità per le unità abitative ad uso residenziale».

Condhotel: obblighi del gestore

«Tra gli obblighi del gestore unico c’è l’impegno a garantire ai proprietari delle unità abitative ad uso residenziale, oltre alla prestazione di tutti i servizi previsti dalla normativa vigente, ivi inclusi quelli di cui alle rispettive leggi regionali e alle relative direttive di attuazione per il livello in cui il condhotel è classificato» aggiungono dallo studio Cataldi.

Il decreto prevede la semplificazione della rimozione del vincolo di destinazione alberghiera, stabilendo che in questi casi per «interventi edilizi sugli esercizi alberghieri esistenti e limitatamente alla realizzazione della quota delle unità abitative ad uso residenziale, ove sia necessaria una variante urbanistica, le Regioni possono prevedere, con norme regionali di attuazione, modalità semplificate per l’approvazione di varianti agli strumenti urbanistici da parte dei Comuni».

Condominio: cosa sono le spese personali

da laleggepertutti.it

Può capitare che l’assemblea condominiale approvando il rendiconto annuale vi faccia rientrare, oltre alle spese condominiali vere e proprie (cioè quelle relative alla gestione, conservazione e manutenzione della cosa comune), anche le spese personali addebitate ai singoli condomini.

L’esempio più ricorrente è quello relativo alle spese legali: l’amministratore agisce giudizialmente nei confronti del condomino moroso rivolgendosi ad un avvocato, e addebita al condomino le spese legali. Un altro esempio è quello in cui il condominio addebita al singolo le spese personali a titolo di sanzione per una violazione del regolamento condominiale oppure di riparazione di un bene condominiale danneggiato.

Ebbene, la giurisprudenza ha più volte chiarito che l’assemblea condominiale non può approvare le spese personali, di natura individuale, imputandole al singolo condomino. L’assemblea ha infatti esclusivamente il potere di deliberare le spese condominiali, riguardanti il condominio e da ripartire tra i singoli secondo le tabelle millesimali e i criteri dettati dal regolamento e/o dalla legge.

 Vediamo dunque cosa sono le spese personali e come devono essere gestite in condominio.

Condominio: il vademecum sulle tabelle millesimali

da studiocataldi.it

Tabelle millesimali: di cosa si tratta?

La legge, infatti, stabilisce che il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare debba essere espresso in millesimi (art. 68 disp. att. c.c.)e tale valore sarà stabilito facendo riferimento a particolari coefficienti e parametri riguardanti la metratura (superficie, volume, ecc.) e il posizionamento dell’unità immobiliare (piano, esposizione, ecc.).
Tuttavia, precisa la legge, nell’accertamento di tali valori non si terrà conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare.
La tabella millesimale sarà presente in allegato al regolamento condominiale, laddove questo sia previsto (ovverosia ove vi siano oltre 10 condomini), oppure potrà essere comunque redatta indipendentemente dalla presenza di un regolamento.
 
La ripartizione in millesimi non è affatto di poco conto: basti pensare, ad esempio, che il “peso” dei millesimi incide sui quorum necessari per la regolare costituzione dell’assemblea condominiale, sulle maggioranze richieste affinché vengano adottate le delibere assembleari, nonché sulle decisioni riguardanti le parti comuni e la ripartizione delle spese.
Infatti, l’art. 1118 del codice civile, stabilisce che il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene.
 
L’art. 1123 c.c., invece, soggiunge che le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza saranno sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.