Videocitofono e privacy in condominio: le regole da seguire

da ilmessaggero.it

Privacy in condominio: è possibile installare il videocitofono?
Vuoi installare un videocitofono per aumentare la sicurezza del tuo appartamento? Sappi che ci sono delle regole da seguire. Eccole.
L’entrata in vigore del Regolamento per la protezione del dati GDPR ha rivoluzionato molti aspetti della vita di tante persone e ha fatto sollevare molti dubbi su quali dati personali debbano essere protetti e sulle regole per l’installazione di telecamere, come quelle per il videocitofono. Ecco a cosa prestare attenzione per evitare spiacevoli violazioni delle norme a tutela della privacy.

Il Regolamento GDPR
Prima di capire come proteggere la privacy dei condomini nonostante l’installazione di videocitofoni, è bene partire dalla nuova normativa. A rivoluzionare il trattamento dei dati personali è il GDPR, General Data Protection Regolation. Si tratta di un Regolamento dell’Unione Europea (UE 2016/679) che disciplina il trattamento dei dati personali. Il GDPR è entrato in vigore il 25 maggio del 2018 e ha aumentato notevolmente obblighi e responsabilità per chi in un qualche modo si trova a dover gestire dei dati personali idonei a rivelare in modo diretto o indiretto abitudini di vita dei soggetti interessati. All’interno di un condominio chi ha maggiori responsabilità perché si trova a dover raccogliere i dati personali dei condomini è l’amministratore di condominio. Per lui vi sono obblighi specifici che gli impongono di evitare ogni comportamento che possa portare alla diffusione dei dati personali. Viene di conseguenza limitato di molto l’uso delle bacheche presenti nell’atrio dei condomini. Infatti gli avvisi devono essere il più possibile generici e non recare nomi dei singoli condomini, numeri di targa e dati relativi ai pagamenti ed eventuali ritardi. Questa norma appare del tutto congrua visto che l’atrio può essere visitato anche da terzi soggetti che magari fanno visita a un altro condomino o sono clienti di studi professionali presenti all’interno del condominio. Tra gli obblighi dell’amministratore vi è anche quello di predisporre un’informativa adeguata sul GDPR in modo che ogni condomino possa conoscere i dati raccolti, la finalità della raccolta e come far valere i propri diritti nel caso in cui ritenga siano stati violati i propri diritti. In relazione alla protezione della privacy molti dissidi e perplessità ha creato l’uso delle telecamere in condominio e in particolare del videocitofono. L’uso di questi strumenti è da molti sponsorizzato perché idonei ad aumentare la sicurezza, ma allo stesso tempo sono in molti a vedere un pericolo in tali strumenti, soprattutto quando i rapporti di vicinato non sono idilliaci e si teme un vicino spione. Ecco perché è bene chiarire alcuni punti.

Perché il videocitofono può invadere la privacy
Fatta questa disamina generale, ciò che preme ora è capire quali possono essere i limiti all’uso del videocitofono in condominio. Il videocitofono è uno strumento che prevede l’uso delle telecamere che devono riprendere l’area esterna al portone (principale o portone della singola unità abitativa) ed è proprio questo elemento a sollevare perplessità circa il GDPR. I problemi relativi alla potenziale violazione della privacy derivante dall’uso di un videocitofono sono attuali perché lo sviluppo tecnologico ha portato alla creazione di strumenti in grado non solo di prelevare immagini, ma anche di registrarle e registrare il sonoro. Questo vuol dire che un uso improprio può portare alla raccolta e diffusione di dati personali inerenti altri condomini o soggetti terzi che ad esempio arrivano in visita. Ad esempio, se il videocitofono punta su un portone che affaccia sul marciapiede, nel momento in cui dall’unità interna si controlla l’esterno, oltre ad avere visione di chi sta citofonando, si ha visione anche di chi in quel momento sta passando. L’immagine della persona porta ad una potenziale identificazione, questo può ledere i diritti.
D’altronde il videocitofono oggi è molto utilizzato perché, nella generale percezione di pericolo derivante da intrusione di terzi malintenzionati, consente al singolo condomino di vedere prima chi sta suonando al citofono e quindi aprire solo a persone conosciute. Il suo uso quindi è molto diffuso per motivi di sicurezza in quanto evita che il portone principale sia aperto anche a chi non ha titoli per entrare, di conseguenza è una misura che va a proteggere tutti i proprietari/locatari delle unità abitative. Ad esempio, capita spesso che i malintenzionati volendo introdursi nell’appartamento del signor Rossi, preferiscono citofonare presso il signor Bianchi in modo da entrare nell’atrio principale e recarsi poi all’unità abitativa. Ovviamente usano una scusa, ad esempio dicono di essere tecnici del gas, con il videocitofono è possibile verificare l’identità e non aprire. Nonostante questo, la presenza di telecamere può invadere la privacy degli altri condomini, ecco perché è necessario adottare delle precauzioni a protezione della privacy.

Videocitofono su aree comuni
Per il videocitofono occorre fare delle precisazioni, in particolare è bene distinguere tra l’ipotesi in cui le riprese vadano a ricadere su aree comuni dall’ipotesi in cui le immagini del videocitofono siano ad uso esclusivo del singolo condomino. Infatti in questo secondo caso non vengono sollevati particolari problemi di privacy, al punto che la dottrina prevalente ritiene che non sia necessario neanche posizionare degli avvisi che rendano nota la presenza del videocitofono. Nel primo caso, invece, è necessario adottare delle cautele.
In particolare, se le videocamere vanno a riprendere aree comuni è necessario che sia affisso un avviso per tutti, e in particolare anche per i terzi soggetti, che renda nota la presenza della telecamera. Inoltre le registrazioni delle telecamere devono essere tenute per un periodo massimo di 24-48 ore e non possono in alcun modo essere diffuse. Si possono conservare per temi maggiori solo in seguito ad una comunicazione al Garante, ovviamente la stessa deve essere opportunamente motivata, ad esempio nel caso in cui vi sia stato un furto.
Dei limiti vi sono anche all’installazione, infatti la normativa prevede che per poter installare videocitofoni che riprendono anche le aree comuni è opportuno procedere prima ad un’assemblea condominiale che voti tale proposta. Si intende accettata la stessa se ottiene il voto favorevole della maggioranza dei condomini presenti durante l’assemblea. Gli stessi devono inoltre rappresentare la metà del valore dell’immobile.

Videocitofono e privacy in condominio: l’importanza della regolazione dell’angolo visuale
Cosa succede se il singolo condomino installa un videocitofono ad uso esclusivo che però riprende anche aree non di sua esclusiva pertinenza? In linea di massima il videocitofono dovrebbe essere regolato in modo che l’angolo visuale ripreso sia il più possibile ristretto e quindi non sia idoneo a “intercettare” altri soggetti. Ad esempio l’angolo visuale deve essere tale da non riprendere gli ospiti che arrivano dai vicini, gli orari di uscita e rientro del condomino che abita sullo stesso piano. A dirimere ulteriormente la questione è stato il tribunale di Catania. La sentenza precisa che i sistemi di videosorveglianza non possono avere un raggio visuale che vada ad interferire con spazi condominiali comuni o con la proprietà del vicino. La sentenza precisa che le riprese sono vietate anche nel caso in cui il sistema di videosorveglianza non preveda la registrazione e conservazione delle immagini. Il Garante privacy ha precisato che è comunque vietato diffondere le immagini riprese, ad esempio attraverso webcam, anche se le stesse sono strettamente pertinenti alla propria area privata. Insomma se in casa mia arriva un ospite e io lo riprendo mentre suona il citofono, non posso comunque diffondere quelle immagini. Rispettando queste norme non è necessario neanche installare il cartello che avvisa della presenza della telecamera. Questa ipotesi è limitata al caso in cui la telecamera sia applicata sull’uscio di casa ed esclusivamente su esso. Tutto cambia che si tratta del portone principale del condominio o del pianerottolo.

Uso di videocitofono su aree comuni senza delibera assembleare
Nel caso in cui il videocitofono non condominiale, per le modalità di ubicazione, va a riprendere anche spazi comuni, come può essere un pianerottolo o l’uscio del vicino, si configura il reato di “Interferenze illecite nella vita privata altrui”, per tale reato è prevista anche la reclusione e il risarcimento danni. L’installazione del videocitofono che vada a riprendere anche aree comuni o l’uscio del vicino senza la deliberazione assembleare è vietata anche nel caso in cui il sistema non preveda la registrazione del sonoro, questo perché comunque si tratterebbe di un sistema di raccolta di dati personali visto che la persona è identificabile e già questo porta ad trattamento di dati personali. I dati personali infatti comprendono un’ampia sfera di fatti: dal sesso, all’età, ma anche le opinioni religiose. Ad esempio se anche non si conosce chi bussa alla porta del vicino, vedendolo si possono scorgere simboli religiosi.

Videocitofono e privacy in condominio: come agire senza rischi
Tutto ovviamente cambia se sono seguite tutte le procedure e quindi il videocitofono è installato su deliberazione dell’assemblea condominiale. Se l’installazione avviene con deliberazione, è comunque necessario che siano affissi dei cartelli nell’area circostante che avvertano in modo inequivocabile della presenza di videocamere e videocitofoni che possono riprendere coloro che si trovano nell’area circostante. I cartelli devono essere ben visibili e devono indicare anche la finalità per la quale avvengono le registrazioni/riprese. Il cartello ha l’obiettivo di avvisare i terzi soggetti, può trattarsi anche semplicemente del postino o del fattorino, che entrando in una determinata area vi è la possibilità di essere ripresi. Spetta poi a tale soggetto fare in modo di non avere comportamento che lui stesso valuti come inappropriati. Si è detto in precedenza che il responsabile del trattamento dei dati personali in condominio è l’amministratore. Proprio per questo se un condomino installa in videocitofono a uso esclusivo è suo compito chiedergli una relazione tecnica e i campi di visione delle telecamere in modo da valutare se le stesse possono violare la privacy di altri condomini o soggetti terzi.

Perdite idriche: l’amministratore di condominio è responsabile?

da laleggepertutti.it

All’apertura della casa per le vacanze sei stato accolto da una brutta sorpresa: gran parte del soffitto è rovinata a causa di infiltrazioni d’acqua provenienti dall’appartamento del piano di sopra, anche questo di proprietà di un villeggiante. Ricostruire come sono andati i fatti non è difficile: essendo i due immobili disabitati in gran parte dell’anno, nessuno si è accorto delle perdite. Nessuno tranne l’amministratore il quale, a quanto sembra, era consapevole del rischio di allagamenti per essergli stato fatto presente dal condomino in questione. Anzi, quest’ultimo gli aveva anche chiesto di cercare una ditta per i lavori. Tutto ciò non è stato fatto e, nel frattempo, i danni sono divenuti consistenti. Pertanto ti chiedi se l’amministratore di condominio è responsabile per le perdite idriche. La risposta è contenuta in una recente sentenza del tribunale di Como.

Il problema dell’allagamento tra due appartamenti – quello del piano di sopra e quello del piano di sotto – è stato affrontato più volte dalla giurisprudenza, un po’ per definire la linea di confine tra la responsabilità dei condomini e quella del condominio, un po’ per chiarire chi deve partecipare alle spese di ripristino dei locali. Non sono infatti rare le controversie che sorgono proprio dalla difficoltà nel quantificare le spese per la pitturazione e il ripristino dei locali ammalorati dall’umidità e dall’acqua. In generale però la regola è sempre quella che “chi rompe paga”; e quindi, anche nel caso di infiltrazioni, bisogna verificare di chi è la tubatura o il rubinetto danneggiato che ha procurato le infiltrazioni.

Chi è responsabile per le infiltrazioni di acqua?

Nessun dubbio sul fatto che, in caso di perdite idriche, sia innanzitutto responsabile il condomino proprietario dell’impianto interessato dal guasto. A tal fine bisogna incaricare un tecnico che verifichi l’esatto punto ove si è verificata la rottura. Alcune di queste, infatti, sono di proprietà del condominio e, in tal caso, a concorrere alla spesa saranno tutti i condomini dello stabile; altre invece sono di proprietà dei singoli condomini ed allora compete a questi ultimi soltanto accollarsi gli oneri del ripristino.

In particolare, le cosiddette tubature verticali, quelle che portano l’acqua nei singoli appartamenti, sono di titolarità del condominio. È quindi quest’ultimo tenuto a risarcire i danni procurati agli immobili: danni consistenti, oltre ovviamente al ripristino dei locali e della pittura, e all’eliminazione della perdita. Sarà l’amministratore a incaricare una ditta idraulica e di imbianchini, ripartendo poi l’uscita tra tutti secondo millesimi. A partecipare sarà anche il condomino danneggiato, in quanto facente parte dell’edificio.

Discorso diverso riguarda le tubature orizzontali, quelle cioè che si innestano nelle tubature verticali per ogni piano del palazzo e portano l’acqua nei singoli appartamenti. Queste sono di proprietà dei condomini. Ed è proprio in questo caso che sorgono i principali problemi. Una volta individuata infatti l’origine della perdita, il proprietario dell’immobile deve immediatamente chiamare una ditta che provveda ad aprire il pavimento e a riparare il guasto. Lo deve fare senza potersi rivalere sul vicino del piano di sotto il quale è invece “danneggiato” e quindi ha diritto anche al rifacimento dell’intonaco rovinato dalle infiltrazioni di acqua.

L’amministratore è responsabile per le perdite di acqua?

Vediamo ora quali possono essere i profili di responsabilità dell’amministratore che, consapevole del rischio di allagamento, non si sia attivato per escluderlo, ridurlo o semplicemente non abbia avvisato i proprietari degli appartamenti.

Il codice civile stabilisce che l’amministratore ha l’incarico di tutelare le parti comuni dell’edificio e far rispettare il regolamento. Si evince quindi che nessuna competenza ha in merito alle diatribe tra vicini di casa relative alle proprietà individuali, le quali vanno sbrogliate dai diretti interessati. Ecco perché, ad avviso del giudice comasco, «nessuna responsabilità, né contrattuale né extracontrattuale, può attribuirsi all’amministratore del condominio» che, conseguentemente, va assolto dalle pretese di risarcimento.

Significativa l’ulteriore precisazione: «va poi escluso che l’amministratore abbia l’obbligo di vigilare sulle proprietà esclusive e nemmeno è richiesta la presenza costante nel condominio». Se uno dei condomini gli comunica di aver intenzione di sostituire un rubinetto perché perde, l’amministratore non deve verificare che il soggetto ottemperi o meno all’impegno assunto per evitare spargimenti d’acqua alle altre proprietà.

La sentenza conferma che il limite fondamentale che l’amministratore incontra nella propria competenza e nelle proprie responsabilità, anche in tema di atti conservativi e lavori urgenti, è quello che le parti e i servizi siano comuni, salvo gli sia conferito un ulteriore mandatoespresso dai singoli condomini.

Come ha precisato la Cassazione, il codice civile e le leggi speciali imputano all’amministratore condominiale “doveri ed obblighi finalizzati ad impedire che il modo d’essere dei beni condominiali provochi danno di terzi”. E, tuttavia, è proprio “in relazione a tali beni”, e non anche a beni e impianti privati, che “l’amministratore, in quanto ha poteri e doveri di controllo e poteri di influire sul loro modo d’essere, si trova nella posizione di custode”

Quali sono le regioni con più litigi in condominio?

da notizie.yahoo.com

Motivi futili

I motivi che scatenano le liti e gli omicidi sono legati a rapporti di cattivo vicinato. Un’anziana di Chiaravalle (Ancona), è stata uccisa dal vicino affetto da ludopatia, che ha colto l’occasione per derubarla e consegnare la refurtiva a un Compro Oro. Senza dimenticare il fatto di cronaca dello scorso gennaio, a Crotone, dove il 18enne Giuseppe Parretta ha perso la vita dopo 5 colpi di pistola esplosi per mano del 57enne Salvatore Gerace, per futili discussioni di condominio.

Le regioni più litigiose

Sono 2 milioni e 200mila le cause pendenti in tribunale legate a liti condominiali. Spulciando i dati del Codacons di febbraio 2018, emerge che nel Lazio e in Campania sono 190mila le cause pendenti scatenate da rapporti di cattivo vicinato. Si attestano a 160mila quelle in Veneto e Sicilia, in Emilia-Romagna si fermano a 140mila casi. Le cause principali riguardano il poco rispetto della parti comuni, seguite dagli schiamazzi e rumori molesti e dalla televisione a volume troppo alto. Chiudono la classifica dei motivi che causano litigate tra vicini gli odori molesti e i problemi legati agli animali domestici.

Vietato registrare di nascosto la riunione di condominio

da studiocataldi.it
Deve ritenersi vietata la video registrazione di una riunione di condominio effettuata in maniera occulta da un singolo condomino senza il previo consenso informato di tutti i partecipanti. Della vicenda riguardante la privacy condominiale se ne è occupato il Tribunale di Roma nella sentenza n. 13692/2018 (qui sotto allegata).
Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici capitolini nasce dalla citazione di una signora che, evocando in giudizio il Condominio, chiedeva annullarsi una delibera assembleare ritenuta invalida per una serie di motivazioni, tra cui la circostanza che il verbale era stato redatto lasciando spazi in bianco riempiti successivamente.
Asserzioni che la donna ritiene dimostrate grazie alla registrazione della riunione assembleare da lei effettuata. Ciononostante, per i giudici le domande attoree non trovano accoglimento e vengono rigettate in quanto infondate e/o non provate, rimanendo valida ed efficace la delibera impugnata.
In particolare, per il Tribunale l’attrice non ha adempiuto l’onere della prova a suo carico in quanto la registrazione audio dell’impugnata assemblea dell’assise condominiale, posta a fondamento della domanda, è sta da lei effettuata senza previa autorizzazione e dunque non risulta utilizzabile.

Condominio: illegittima la registrazione dell’assemblea senza previo consenso

Al riguardo, i giudici rammentano che ogni condomino ha diritto di chiedere all’amministratore che la riunione condominiale sia registrata avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito che, ciascun partecipante a una conversazione, sia essa una riunione di condominio o un colloquio tra amici, accetta il rischio di essere registrato (Cass. 18908/2011).

Inoltre, non si verifica la lesione alla privacy dei partecipanti, in quanto la registrazione non dà luogo alla “compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso solo da chi palesemente vi partecipa o assiste” (Cass. S.U. 36747/2003).
Tuttavia, nonostante ogni partecipante all’assemblea abbia il diritto di registrare durante l’assemblea, va sottolineato come egli sia tenuto a non divulgare il contenuto a terzi non presenti durante l’assemblea.
In questo caso si verificherebbe un reato (art. 167 d.lgs. 196/2003), salvo il caso in cui si sia ottenuto il consenso alla divulgazione da parte di tutti i partecipanti all’adunanza o che la diffusione si renda necessaria per tutelare un proprio diritto.
Anche l’Autorità garante per la protezione dei dati personali, nel vademecum “Il condominio e la privacy”, ha chiarito che l’assemblea condominiale può essere registrata, ma solo con il consenso informato di tutti i partecipanti.
Nel caso in esame, invece, la proponente non è stata autorizzata e dunque la registrazione audio deve ritenersi illegittima e non utilizzabile per provare i fatti dalla stessa posti a fondamento della sua domanda, non essendo, in sostanza, soddisfatto l’onere probatorio che compete a parte attrice.

Sanzione al condominio, sanatoria edilizia e ripartizione della spesa

da laleggepertutti.it

Due condomini vogliono vendere rispettivamente il proprio appartamento ed il proprio garage nelle nostre palazzine, ma sono impossibilitati perché i disegni depositati presso l´ufficio tecnico del Comune nel 1968 non corrispondono a quanto realizzato (per incremento della superficie degli appartamenti, maggior numero totale di garage ottenuti tramite diversa suddivisione etc). Si autodenunceranno presso il Comune al fine di richiedere una sanatoria e quest’ultimo interverrà obbligando tutti i condomini a partecipare alla richiesta di sanatoria. Dato che la maggior parte dei costi (circa il 9% di € 60.000) sarà a mio carico per via dei millesimi – e tale azione non è nei miei interessi – come posso dissociarmi o richiedere la suddivisione pro-capite e non per millesimi?

La ripartizione della spesa per la sanatoria edilizia va fatta accollando gli importi ai soggetti che il Comune riterrà responsabili delle difformità. Per cui se l’ente riterrà di dover infliggere la sanzione al condominio in generale (per sanare opere di proprietà condominiale), allora l’importo della sanzione amministrativa andrà suddiviso tra tutti i condomini in ragione dei millesimi.

Se il comune infliggerà la sanzione solo ad alcuni proprietari (e non al condominio) è chiaro che dovranno essere loro soltanto a pagare. Se poi la sanzione sarà inflitta al condominio in generale ma si hanno le prove che gli abusi sulle proprietà condominiali furono commessi solo da alcuni condomini, allora la sanzione inflitta dal comune all’intero condominio dovrà essere ripartita dall’amministratore solo a carico dei condomini responsabili tenendo presente comunque che al Comune non interessa chi paghi, ma che si paghi (per cui la ripartizione interna al condominio della sanzione non sposta il termine per il pagamento dell’intera sanzione).

La sanatoria è sempre un’autodenuncia: pertanto, se anche i locali del lettore(probabilmente come tutti gli altri) si trovano nella stessa situazione, questi potrebbe anche non chiedere la sanatoria, la quale non gli può essere imposta. In questo modo il lettore rimarrà estraneo ad ogni spesa, in quanto la sanatoria di beni di proprietà esclusiva cose non comuni) grava solamente sui proprietari. È chiaro, però, che così facendo lo stesso rischia di esporsi ad un accertamento da parte dell’ufficio tecnico: l’autodenuncia presentata solo da alcuni, infatti, non limita i poteri di accertamento del Comune, il quale potrà sempre effettuare un sopralluogo. In quel caso, non potrà sfuggire né alla sanzione né all’adeguamento dell’immobile.

Il criterio è, quindi, il seguente: la sanatoria delle parti comuni grava su ciascun condomino in proporzione ai millesimi; quella delle singole proprietà, invece, è esclusiva dei titolari.

Si ricorda, infine, che secondo la giurisprudenza, in caso di mancato assenso degli altri condomini, l’ente può negare la concessione in sanatoria quando l’abuso interessi parti comuni del fabbricato: «In caso di opere che incidono sul diritto di altri comproprietari, l’amministrazione è legittimata ad esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti); perciò, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici, e maggior ragione nell’ipotesi di sanatoria edilizia di opere abusive quindi già realizzate, deve ritenersi che in caso di mancato assenso degli altri condomini, l’ente può negare la concessione in sanatoria chiesta ai sensi dell’articolo 39 della legge 724/94 laddove si ritiene che l’abuso interessi parti comuni del fabbricato» (Tar Sicilia, sentenza n. 1477 del 14 giugno 2016; nello stesso senso anche Tar Sardegna, sez. II, sent. 5 giugno 2017 n. 378 e Cons. St., sez. VI, 27 giugno 2008, n. 3282, a proposito, però, della diversa ipotesi di condono).

Appartamento “uso studio” e regole condominiali

da laleggepertutti.it

È giusto pagare la quota condominiale per un condominio di impianti comuni? Sono proprietario di una unità immobiliare al CDN, adibita a studio/ufficio in un condominio di soli uffici con impianti di aria condizionata/riscaldamento centralizzato, (edifici anni 90 con impianti tipo termoconvettori per aria calda e fredda). Lo studio per motivi personali non lo utilizzo, pertanto ho disdetto il contratto di energia elettrica. L’impianto centralizzato nello studio funziona solo con l’energia elettrica, perciò pur volendo l’impianto non lo posso utilizzare avendo disdetto il contratto di energia elettrica . Ho chiesto all’amministratore di esentarmi o ridurmi il pagamento della quota ma ciò mi è stato negato categoricamente, a suo parere doveva decidere l’assemblea condominiale. Posso appellarmi a qualche legge per evitare questa palese ingiustizia? Trattandosi di studi e non di civili abitazioni suppongo ci siano leggi diverse. Quali?

Le norme da prendere in considerazione nel caso specifico sono le disposizioni che regolano in generale la materia condominiale ed in particolare gli articoli 1117, 1118 e 1123 del codice civile.

Occorre premettere che la disciplina del condominio si applica qualunque sia la destinazione delle unità immobiliari: questo significa che le regole sono le stesse sia che le unità immobiliari abbiano destinazione abitativa, sia che le stesse abbiano una destinazione differente (commerciale, uso ufficio o studio).

Fatta questa premessa, si evidenzia che:

– sono di proprietà condominiale (cioè di tutti i condomini), se non risulta il contrario dall’atto di acquisto, anche i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini (articolo 1117, 1° comma, n. 3, del codice civile);

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Casa vacanza affittata in nero, ecco i rischi e le sanzioni

da idealista.net

Il proprietario della casa vacanza che affitta in nero, senza stipulare con l’inquilino un contratto di locazione breve, rischia di incorrere in sanzioni fiscali e conseguenze civili.

La mancata registrazione, infatti, viene considerata evasione fiscale e pertanto può portare a sanzione che vanno dal 120% al 240% dell’imposta evasa, in caso di omessa dichiarazione del canone d’affitto nella dichiarazione dei redditi, e dal 200% al 400% in caso di inferiore del canone d’affitto (dichiarazione infedele).

Ma non solo, perché dal punto di vista giuridico l’affitto in nero è considerato nullo. Pertanto questo implica anche che il proprietario della casa vacanze non può usufruire della procedura di sfratto, così da non poter riottenere in tempi brevi il proprio appartamento.

Inoltre l’inquilino può rifiutarsi di pagare l’affitto e chiedere eventualmente la restituzione dei pagamenti già effettuati, non essendo stato stipulato alcun tipo di contratto. E sono previste sanzioni anche per i ritardi: il 30% dell’imposta versata in ritardo; 35 euro per risolvere un contratto con 30 giorni di ritardo; 67 euro per risolvere un contratto con oltre 30 giorni di ritardo.

Permessi Legge 104: nuove precisazioni INPS

da fiscoetasse.com

Nel Messaggio n. 3114 del 07 agosto 2018 l’INPS fornisce nuove indicazioni sulla fruizione dei permessi di cui all’articolo 33 della legge n. 104/92 e del congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del D.lgs n. 151/2001. In particolare si specificano alcuni casi di particolari  modalità organizzative dell’orario di lavoro: lavoro per turni, part time.

Ricordiamo  che la  legge prevede , in generale, la possibilità di fruire di permessi e congedi connessi al riconoscimento dello stato di  disabilità  proprio o di un proprio  familiare da assistere , previa  domanda di accertamento dei requisiti sanitari  specifici all’INPS.

Nel dettaglio i benefici si possono identificare con le seguenti tipologie
a) Congedo figli disabili
b) Permessi retribuiti
c) Congedo straordinario

I permessi retribuiti consistono in 3 giorni al mese di permesso oppure  2 ore di permesso  giornaliero (con  orario di lavoro pari o superiore a 6 ore) ovvero 1 ora di permesso se inferiore a 6 ore,  per tutti i giorni del mese .

Hanno diritto   i lavoratori disabili   e i seguenti soggetti che assistono disabili:

  •  genitori lavoratori dipendenti;
  •  coniuge lavoratore dipendente;
  •  parenti o affini entro il 2° grado ( figli ) ma  il diritto può essere esteso ai parenti e agli affini di terzo grado se  genitori o il coniuge hanno piu di  sessantacinque anni di età  oppure  siano deceduti o affetti da patologie invalidanti).

Non hanno invece diritto ai permessi in oggetto i seguenti soggetti:
1) lavoratori a domicilio;addetti ai servizi domestici e familiari;
2) agricoli a tempo determinato occupati a giornata, né per se stessi né in qualità di genitori o
familiari ;
3) autonomi e parasubordinati.

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Primo sì alla legge “salva bebè”: ecco cosa prevede

da skytg24.it

Il dispositivo sarà individuato dal ministero dei Trasporti

Per evitare casi in cui i bimbi vengano dimenticati dentro l’abitacolo, la proposta prevede, in generale, un dispositivo obbligatorio dotato di un segnale luminoso e uno acustico che avviseranno i genitori della presenza del bambino in auto, anche quando si spegne la macchina. Stando al testo della proposta, le caratteristiche tecniche del dispositivo verranno poi individuate dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, che dovrà emanare un decreto entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Negli ultimi dieci anni, i casi di questo genere in Italia sono stati otto. L’ultimo nel maggio 2018 a Pisa: una bambina di un anno è morta dopo essere stata lasciata chiusa in macchina in un parcheggio.

“Dal primo gennaio 2019”

Il testo della proposta, che consta di un solo articolo e due commi, recita: “A partire dal primo gennaio 2019, tutti i sistemi di ritenuta per bambini previsti dal comma 1 dell’articolo 172 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, devono essere dotati di un dispositivo acustico e luminoso atto a rilevare la presenza di un bambino nell’abitacolo”.

Incentivi per l’acquisto

Il ministro Toninelli, che già si era espresso negli scorsi mesi sull’argomento, ha assicurato l’impegno del governo nel fornire incentivi congrui per l’acquisto dei sensori “salva bebè”. In queste settimane e nei prossimi mesi il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti lavorerà in stretta collaborazione con il ministero dell’Economia per trovare le adeguate coperture finanziarie, probabilmente già in legge di Bilancio.

La prima firmataria: Giorgia Meloni

La proposta, presentata il 22 maggio, è stata firmata per prima da Giorgia Meloni. “Sono veramente contenta. È un grande onore per me dare il nome a una legge che salverà i bambini da un fenomeno, quello della distrazione genitoriale, che purtroppo colpisce tutte le società”, ha detto la leader di Fratelli d’Italia che, insieme ad alcuni deputati del suo partito, ha festeggiato in piazza Montecitorio il primo via libera alla legge.

Come pagare l’affitto della casa, quello che serve sapere

da idealista.it

Quando si stipula un contratto di affitto è importante sapere esattamente in che modo è possibile pagare l’importo dovuto ogni mese. Ecco quali sono le modalità consentite.

L’affitto può essere saldato in contanti (nel rispetto del limite dei 2.999,00 euro), con bonifico bancario online o a sportello, con assegno o vaglia postale.

Nel caso si paghi l’affitto di casa in contanti è importante rispettare il limite previsto dalla normativa attuale (articolo 49 del D. Lgs. 231/2007), secondo la quale i pagamenti in contanti non possono superare il limite massimo di 2.999,00 euro, e su richiesta dell’inquilino c’è l’obbligo di quietanza (articolo 1199 del codice civile) con marca da bollo da 2 euro.

Nel caso, invece, si paghi l’affitto di casa con il bonifico bancario (online o a sportello) bisogna prestare attenzione alla causale: ove rechi una causale specifica, il bonifico consentirà all’inquilino di utilizzare la relativa contabile di pagamento alla stregua della quietanza normalmente rilasciata dal proprietario.