Come pagare l’affitto della casa, quello che serve sapere

da idealista.it

Quando si stipula un contratto di affitto è importante sapere esattamente in che modo è possibile pagare l’importo dovuto ogni mese. Ecco quali sono le modalità consentite.

L’affitto può essere saldato in contanti (nel rispetto del limite dei 2.999,00 euro), con bonifico bancario online o a sportello, con assegno o vaglia postale.

Nel caso si paghi l’affitto di casa in contanti è importante rispettare il limite previsto dalla normativa attuale (articolo 49 del D. Lgs. 231/2007), secondo la quale i pagamenti in contanti non possono superare il limite massimo di 2.999,00 euro, e su richiesta dell’inquilino c’è l’obbligo di quietanza (articolo 1199 del codice civile) con marca da bollo da 2 euro.

Nel caso, invece, si paghi l’affitto di casa con il bonifico bancario (online o a sportello) bisogna prestare attenzione alla causale: ove rechi una causale specifica, il bonifico consentirà all’inquilino di utilizzare la relativa contabile di pagamento alla stregua della quietanza normalmente rilasciata dal proprietario.

Barriere architettoniche in condominio

da cosedicasa.com

Gli spazi comuni di un condominio devono essere accessibili a tutti, quindi anche le persone con disabilità fisiche devono potersi muovere liberamente, senza quegli ostacoli che ne limitano le attività. Oltre alla legge 13/1989, anche il Codice civile affronta la questione, incoraggiando gli interventi che eliminano ogni forma di impedimento. Se per gli edifici di nuova costruzione esistono prescrizioni tecniche che permettono di realizzare da subito accessi e spazi comuni comodi per tutti, per quelli esistenti è più complicato. E non solo perché si deve intervenire, spesso con modifiche invasive, per andare ad eliminare le barriere architettoniche. Nonostante i buoni propositi, infatti, non sempre in condominio è possibile realizzare le opere necessarie ad agevolare i disabili, perché entrano in gioco altre esigenze come, per esempio, quella di salvaguardare il decoro architettonico dell’immobile o di tutelare il diritto di proprietà del bene comune – anche di un solo condomino – diritto che potrebbe venire meno a seguito dell’intervento. In questi casi, l’opera di abbattimento delle barriere architettoniche è quindi da ritenersi illegittima. Come, del resto, sono da considerarsi nulle le delibere condominiali volte a eliminare le barriere architettoniche che “siano lesive dei diritti di un altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative”.

Le norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati sono contenute nella legge n. 13/1989, modificata dalla legge n. 62/1989 e, negli articoli compresi tra il 77 e l’82, dal dpr n. 380/2001, conosciuto come “Testo Unico sull’edilizia”. La legge principale, fra le altre cose, prevede una serie di norme relative a finanziamenti agevolati, oltre a disposizioni di regime ordinario per le nuove costruzioni e di regime transitorio, di carattere urbanistico e condominiale, per gli edifici esistenti. Come affermato dal legislatore, non è indispensabile che negli edifici oggetto dell’intervento sia presente un disabile (proprietario o inquilino), in quanto l’accessibilità deve essere garantita anche ai soggetti terzi.

  • La solidarietà sociale non esclude la tutela della proprietà
  • Se l’assemblea non delibera o non approva, il disabile può procedere a proprie spese
  • Ci sono diverse agevolazioni statali per rendere più comodi gli accessi

La tutela dei diritti del disabile
A meno che l’opera necessaria per l’abbattimento delle barriere architettoniche incida drasticamente sull’estetica dello stabile condominiale, l’attuale orientamento giurisprudenziale tende a favorire i diritti dei portatori di handicap, permettendo l’installazione di un montascale o di una rampa per il transito delle sedie a rotelle. Anche nei casi in cui di tratti di un palazzo di valore storico e architettonico.

 

Maggioranze, quorum e ripartizione spese

A norma dell’articolo 1120 del Codice civile, gli interventi per eliminare le barriere architettoniche, così come “la realizzazione di percorsi attrezzati e l’installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi” devono essere deliberati, in prima o seconda convocazione, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136 del Codice civile.
• Vale a dire un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea e almeno la metà del valore dell’edificio, espresso in millesimi. Si tratta di un quorum agevolato rispetto a quello richiesto per deliberare le “classiche” innovazioni, che richiedono infatti una maggioranza più severa (2/3 del valore dell’edificio).
• L’articolo 1120, inoltre, impone all’amministratore di convocare l’assemblea entro 30 giorni dalla richiesta avanzata anche da un solo condomino interessato all’intervento. La domanda deve contenere l’indicazione dettagliata dell’opera e le modalità di esecuzione. Qualora il documento risulti incompleto, è compito dell’amministratore invitare “senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni”.

A proprie spese se non c’è l’ok 

L’articolo 2 della legge 13/1989 prevede che “nel caso in cui il condominio rifiuti deliberare (…), o non deliberi entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, i portatori  di handicap, o chi ne esercita la tutela o la potestà, possono installare a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garage”. Questo si può fare anche quando l’assemblea non raggiunge il quorum.
• Nel caso in cui, invece, l’intervento sia stato deliberato dall’assemblea, per quanto concerne la ripartizione delle spese dell’intervento, il costo viene suddiviso tra tutti i condòmini, in proporzione ai millesimi di proprietà.

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Tettoia realizzata senza permesso, il condominio può farla abbattere?

da repubblica.it

Senza nessuna informativa per l’amministratore e quindi per il condominio, senza alcuna autorizzazione da parte del Comune, è stata realizzata una tettoia in legno con copertura in massetto e tegole che appoggia su muri condominiali ma con il tetto che tocca il solaio del balcone aggettante del proprietario del piano superiore. Non dovrebbe esserci una distanza per legge dal balcone anche ai fini della sicurezza visto che con un salto si arriva sulla tettoia e quindi nel balcone del piano superiore? Ci potete fornire qualche chiarimento e se esistono normative in materia o cosa fare, se non lecito per farla abbattere?

La realizzazione di una tettoia a copertura di un terrazzo o di un altro bene privato è perfettamente lecita, si tratta di un intervento che non richiede autorizzazione da parte del condominio e che il condominio non può in alcun modo contestare. Lo ha chiarito in una recente sentenza la Corte di Cassazione, che ha confermato il diritto alla privacy e la possibilità di costruire strutture a tutela dei propri beni anche nel caso in cui non siano rispettate le distanze per le costruzioni imposte dal codice civile, a patto che l’opera non crei un pericolo per l’edificio e non leda il decoro architettonico. Con la sentenza 12190/2017, la Corte, che ha affrontato un caso identico a quello da lei segnalato,  ha infatti sottolineato che la realizzazione di una tettoia non richiede il permesso del condominio, e il proprietario è tenuto soltanto a dare comunicazione dell’avvio dei lavori all’amministratore, senza però dover attendere il consenso di questi o dell’assemblea, dal momento che gli altri condomini non possono porre porre limiti o vincoli agli interventi sulla proprietà esclusiva. Anche per quel che riguarda le mura, com’è noto in base all’art. 1102 del codice il singolo condomino ha il diritto ad un uso più intenso del bene comune, anche se si tratta di appoggiare al muro propri manufatti. L’eventuale mancata autorizzazione comunale ai lavori, poi, è questione che riguarda sempre e solo il proprietario e non il condominio, dal momento che si tratta di proprietà privata. Quindi in linea di principio il condominio non può in alcun modo opporsi ad interventi di questo tipo. E’ ovviamente sempre possibile, però, per chi si ritiene danneggiato dall’opera realizzata rivolgersi ad un avvocato e avviare il tentativo di mediazione obbligatoria. Anche per quel che riguarda il decoro architettonico è necessaria la mediazione, dato che spetta al giudice stabilire se c’è stata o meno lesione del decoro, e per legge non è possibile rivolgersi al tribunale se prima non è stato effettuato il tentativo di mediazione obbligatorio in materia di cause condominiali.

Divorzio, la legge sull’assegno: carcere per chi non paga

da ilgiornale.it

Da domani infatti entra in vigore l’articolo 570 bis del codice penale che prevede il carcere fino a un anno o una multa fino a 1.032 euro per l’ex coniuge che si sottrae “agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge”.

Si amplia la tutela legale che il codice penale offre in ambito familiare, sia da un punto di vista soggettivo (tutela estesa dai soli discendenti anche agli ex coniugi) che oggettivo (il reato verrà commesso non solo da chi faccia mancare i mezzi di sussistenza, ma anche da chi ometta di versare l’assegno di mantenimento)“, spiega all’Adnkronos l’avvocato Giuseppe Mauro, specializzato in diritto di famiglia. “L’art. 570 limitava la pena al genitore che faceva mancare i mezzi di sussistenza ai propri discendenti, generalmente ai propri figli. Ora quelle pene si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli

Fino ad oggi il reato, punibile penalmente, si generava solo nel caso in cui il coniuge facesse mancare al figlio cibo, vestiti o una casa dove avitare. Ma non a chi, spiega Mauro, “a fronte di un assegno di mantenimento di 1000 euro, decideva arbitrariamente di versarne 500“.

Il carcere è solo una minaccia? Secondo l’avvocato Marco Meliti “la legge serve da ammonimento”, ma dopo “più sentenze il carcere è davvero un rischio”.

 

 

Se il regolamento di condominio vieta il barbecue

da laleggepertutti.it

Vivo in un condominio a corte, al piano terra, unità di testa più esterna. Ho un giardino verso la corte di 60 mq e il punto più lontano del mio giardino è a 8 metri dai muri e balconi. Il regolamento cita “È vietato, sui balconi, produrre fumi derivanti da cottura alla brace di carne, pesce o altro (barbecue) fatta eccezione per le unità poste all’ultimo piano, dotati di terrazzo a lastrico solare”. Io uso regolarmente il bbq chiuso e avviso sempre, limitando fumi di accensione e utilizzando tecniche indirette (non direttamente sulla brace ma uso il coperchio come se fosse un forno) e i fumi sono bianchi e rarefatti come una pentola d’acqua, mettendomi il più lontano possibile nel mio giardino. Il regolamento pone un limite a chi ha il giardino, oltre a quello stabilito dal codice civile?

La norma del regolamento condominiale riportata dal lettore è alquanto chiara: essa vieta di produrre fumi derivanti da cottura alla brace sui balconi (tranne che sui terrazzi dell’ultimo piano).

In base perciò alla norma del regolamento condominiale non si può in ogni caso sui balconi condominiali produrre fumi derivanti da cottura alla brace.

Naturalmente, però, le norme vanno anche interpretate (verificando quale sia lo scopo per cui esse sono state scritte) per cui si potrebbe anche dire che ciò che in effetti la norma vuole vietare non è la produzione di fumo ma che venga prodotto un fumo capace di arrecare effettivo disturbo ai vicini.

Bisogna precisare che questa è un’interpretazione “elastica” della norma che, invece, così come è scritta vieta puramente e semplicemente che si producano fumi sui balconi indipendentemente dal fatto che essi siano o meno fastidiosi.

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Pareti da abbattere: serve l’ok «statico»

da ilsole24ore.com

“Il mio vicino di casa ha iniziato i lavori di ristrutturazione del suo appartamento e della porzione di sottotetto di sua proprietà. Infastidito dai forti colpi alle pareti che sento da parecchi giorni (sembrava che volessero abbattere i muri), ho chiesto agli operai di potere accedere all’appartamento del vicino e ho notato che tutte le pareti divisorie, non so dire se portanti o meno, sono state buttate giù per formare un unico “open space”. Credo che si voglia realizzare anche una “terrazza a tasca” sul tetto comune. Ho subito avvertito l’amministratore del condominio, che mi ha assicurato un suo pronto intervento. E se non facesse nulla?”
C. B. – ANCONA

Il diritto di proprietà su un’unità immobiliare in condominio va esercitato non solo in funzione dell’interesse individuale, ma anche in accordo con le esigenze di convivenza dovute alla sovrapposizione verticale o alla contiguità orizzontale delle unità immobiliari o delle parti comuni. In altri termini, l’acquisto di un appartamento in un condominio esige che il proprietario, nel godimento dell’immobile, tenga conto degli interessi riguardanti le proprietà altrui, nonché quelle condominiali.
La legge (articolo 1122 del Codice civile) vieta dunque al singolo condomino di eseguire nel suo appartamento opere che possano arrecare danno alle parti comuni. Motivo per cui occorre sempre informare l’amministratore prima di dar luogo a interventi in grado di determinare un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.

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Proprietario del solo posto auto è condòmino a tutti gli effetti

da altalex.it

Anche il proprietario del singolo posto auto scoperto è un condòmino a tutti gli effetti e non può essere escluso dall’uso e dal godimento delle parti comuni. Non è configurabile alcuna servitù in quanto ogni condomino ha il diritto di utilizzare e godere dei beni comuni. Come tale, quindi, anche il proprietario del posto auto scoperto è tenuto a provvedere a sostenere i relativi costi in ragione dei millesimi posseduti.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sez. II Civ., con l’ordinanza 16 gennaio 2018, n. 884.

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Condominio: il vademecum sulle tabelle millesimali

da studiocataldi.it

Tabelle millesimali: di cosa si tratta?

La legge, infatti, stabilisce che il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare debba essere espresso in millesimi (art. 68 disp. att. c.c.)e tale valore sarà stabilito facendo riferimento a particolari coefficienti e parametri riguardanti la metratura (superficie, volume, ecc.) e il posizionamento dell’unità immobiliare (piano, esposizione, ecc.).
Tuttavia, precisa la legge, nell’accertamento di tali valori non si terrà conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare.
La tabella millesimale sarà presente in allegato al regolamento condominiale, laddove questo sia previsto (ovverosia ove vi siano oltre 10 condomini), oppure potrà essere comunque redatta indipendentemente dalla presenza di un regolamento.
 
La ripartizione in millesimi non è affatto di poco conto: basti pensare, ad esempio, che il “peso” dei millesimi incide sui quorum necessari per la regolare costituzione dell’assemblea condominiale, sulle maggioranze richieste affinché vengano adottate le delibere assembleari, nonché sulle decisioni riguardanti le parti comuni e la ripartizione delle spese.
Infatti, l’art. 1118 del codice civile, stabilisce che il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene.
 
L’art. 1123 c.c., invece, soggiunge che le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza saranno sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.

Condominio: quali tutele contro gli odori prodotti dal vicino?

da studiocataldi.it

“Il mio vicino di casa cucina a pranzo e a cena delle pietanze che producono degli odori fortissimi senza utilizzare alcun accorgimento per ridurli, nonostante le lamentele anche degli altri abitanti del palazzo. Come posso tutelarmi?”

La norma giuridica da prendere come riferimento per casi come questo è rappresentata dall’articolo 844 del codice civile, che si occupa delle immissioni stabilendo che il proprietario del fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e le altre propagazioni simili che derivano dal fondo del vicino a meno che queste, tenuto conto anche della condizione dei luoghi, non superino la normale tollerabilità.

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