In Pakistan la legge non ferma i delitti d’onore

da internzionale.it

In Pakistan fa caldo, in modo soffocante e terrificante, ma il problema degli omicidi di donne (e di qualche uomo) in nome dell’onore non conosce battute d’arresto. Qualche settimana fa un uomo che ce l’aveva con le sorelle per una lite familiare ha cominciato a picchiarle con un bastone. Quando la nonna, centenaria, ha cercato di intervenire, ha cominciato a picchiare anche lei: l’età non conta davanti al privilegio maschile. Quando l’uomo si è deciso a fermarsi la nonna e una delle sue sorelle erano morte. L’altra sorella si trova in ospedale in condizioni critiche.

Prendiamo il mese di maggio. Il 1 un uomo ha ucciso a colpi di arma da fuoco sua sorella e il suo presunto spasimante a Charsadda. In un altro episodio una giovane coppia di Karachi si preparava ad andare a cena con la famiglia della moglie. I due si erano sposati per loro decisione due anni prima e la famiglia di lei non era d’accordo con questa relazione. Di ritorno dalla cena, il risciò in cui la coppia viaggiava (il marito era un conducente di risciò) è stato fermato da aggressori sconosciuti che hanno imbottito i loro corpi di proiettili. Entrambi sono morti.

Dai notiziari si è appreso che la polizia stava aspettando di contattare qualcuno nella famiglia del marito per una denuncia formale, poiché si ritiene che la famiglia della moglie sia coinvolta negli omicidi.

Copertura familiare
Questi sono solo gli ultimi episodi della tragedia in corso in Pakistan. In poco più di settant’anni di esistenza, il Pakistan si è dato un gran da fare per uccidere le sue donne e, in alcuni casi, i suoi uomini per “reati” come il rifiuto di un matrimonio, relazioni immaginarie in cui le accuse servono da giustificazione per la rabbia maschile, relazioni inventate che fanno da copertura ad altri motivi per ottenere un’eredità o sbarazzarsi di vicini inopportuni.

Quasi ogni contrasto si presta a sfociare in un delitto d’onore, una copertura grazie alla quale tutto il quartiere e la società si schierano dalla parte dell’omicida e chiudono un occhio se le indagini si impantanano e la giustizia passa in secondo piano.

Dall’entrata in vigore della legge, nel 2016, sono state uccise 1.280 persone in delitti d’onore

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Condomino non paga: si può staccare l’acqua?

da money.it

Non sempre è vietato staccare l’acqua al condomino che non paga: sebbene si tratti di un bene essenziale al moroso può essere sospesa l’erogazione del servizio idrico.

A dare nuove indicazioni sulla gestione della complessa vita di condominio è il Tribunale di Bologna che, con l’Ordinanza pubblicata il 3 aprile 2018, ha stabilito che non sempre è vietato staccare l’acqua al condomino che non paga la propria quota.

Nel caso di mancato pagamento dei consumi effettuati per più di sei mesi il condominio è autorizzato alla sospensione della fornitura di acqua e riscaldamento: le tutele introdotte dal DPCM del 26 agosto 2016, ovvero l’erogazione di un minimo di acqua anche ai condomini morosi, si applicano esclusivamente ai soggetti con documentato stato di disagio economico e sociale.

Un’interpretazione restrittiva della legge che ammette la possibilità di lasciare letteralmente a secco il condomino che non paga l’acqua e che non onora i propri debiti per più di sei mesi.

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Tutti i diritti e gli obblighi previsti dalla legge sulle unioni civili

da huffingtonpost.it

Il testo approvato mercoledì 11 maggio 2016 con 372 sì, 51 no e 99 astenuti si compone di un articolo unico che detta due distinte discipline: la prima regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso, la seconda introduce una normativa sulle convivenze di fatto, che può riguardare sia coppie dello stesso sesso che eterosessuali.

La legge nasce dal disegno di legge – prima firmataria la senatrice Monica Cirinnà – intitolato “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.

L’unione civile tra persone dello stesso sesso è qualificata come specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione – relativi, rispettivamente, ai diritti inviolabili dell’uomo e all’uguaglianza dei cittadini senza distinzione di sesso e alla pari dignità sociale dei cittadini senza distinzione di sesso – recependo così le indicazioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010.

Le parti dell’unione civile possono assumere, per la durata dell’unione, un cognome comune e assumono una serie di diritti e doveri quali l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione e alla contribuzione, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro, ai bisogni comuni. In mancanza di diversa convenzione patrimoniale, si assume il regime patrimoniale della comunione dei beni.

I diritti che si acquisiscono con l’unione civile. Diritti patrimoniali, diritti in materia di successione come la legittima, diritto al mantenimento e agli alimenti in caso di scioglimento dell’unione civile, diritto alla pensione di reversibilità, diritto al ricongiungimento familiare e alla cittadinanza italiana per lo straniero unito civilmente, diritti in materia di trattamenti pensionistici, assicurativi e previdenziali, diritto a tutte le prerogative in materia di lavoro.

Le parti dell’unione civile hanno, inoltre, diritto di ricevere informazioni sullo stato di salute dell’altra parte, di decisione in caso di incapacità, nonché in caso di decesso sulla donazione di organi, sul trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.

Assegni familiari e disposizioni fiscali. Alle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso sono riconosciuti diritti relativi agli assegni familiari e a tutte le disposizioni fiscali, alla disciplina sui carichi di famiglia, alle imposte di successione e donazione, all’impresa familiare, alle numerose norme del codice civile in materia di contratti, prescrizione e altro, alle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi popolari, ai punteggi per i concorsi e i trasferimenti, al trattamento dei dati personali, all’amministrazione di sostegno e alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 e, infine, ai diritti in materia penitenziaria.

“Coniuge”, “moglie”, “marito”. È disposto, inoltre, che, fatte salve le disposizioni del codice civile non richiamate espressamente e fatta salva la disposizione di cui alla legge n. 184 del 4 maggio 1983, le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi”, “marito” e “moglie”, ovunque ricorrano nelle leggi, nei decreti e nei regolamenti, si applicano anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso. Resta fermo, però, quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti.

Impedimenti per costituire una unione civile sono: la sussistenza di un vincolo matrimoniale o di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, l’interdizione per infermità di mente, la sussistenza di rapporti di affinità o parentela, la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l’altra parte.

Come si scioglie l’unione civile. L’unione civile si scioglie con la manifestazione di volontà delle parti, anche disgiunta, dinanzi all’ufficiale dello stato civile. In tal caso la domanda di scioglimento dell’unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data di manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione.

In caso di rettificazione anagrafica di sesso, qualora i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

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“Conosciamo i nostri diritti” in condominio: uso dell’appartamento

da laleggepertutti.it

Uso dell’appartamento in condominio

Ciascun condomino è libero di utilizzare l’appartamento come meglio crede, salvo limiti nel regolamento approvato all’unanimità. L’unanimità può essere raggiunta non solo con votazione in assemblea, ma anche con singole e separate approvazioni del regolamento all’atto dell’acquisto delle unità immobiliari in sede di rogito notarile con il costruttore.

La giurisprudenza oggi è molto rigida nell’interpretazione di tali clausole limitative e solo un’espressa elencazione di ciò che è vietato fare può essere ritenuta valida. Questo significa che se il regolamento vieta l’uso dell’appartamento per attività alberghiera si può ugualmente fare l’affittacamere o creare un b&b.

Il regolamento di condomino non può vietare di tenere animali negli appartamenti (anche in questo caso salva l’unanimità) così come impedire che gli stessi siano trasportati in ascensore.

Non si può impedire al proprietario di affittare l’immobile a determinate categorie di soggetti (ad esempio studenti ed extracomunitari).

L’utilizzo dell’appartamento per attività commerciali non implica di per sé una maggiore partecipazione alla spesa comune; per cui, ad esempio, in assenza dell’unanimità, non si possono imputare più millesimi a chi riceve numerosi cliente e perciò sfrutta di più l’ascensore o le scale.

L’utilizzo dell’appartamento non deve creare molestie ai vicini come rumori e altri schiamazzi. Questo significa che se il regolamento non vieta di aprire palestre o altri esercizi commerciali, questo non significa che il proprietario non debba fare in modo di isolare l’acustica se questa molesta i vicini.

Esistono una serie di attività consentite sul balcone di casa come l’installazione di un’antenna o di un condizionatore, il posizionamento di una bombola d’acqua o di un impianto di riscaldamento autonomo, stendere i panni o apporre vasi. Eventuali divieti devono essere contenuti nel regolamento approvato all’unanimità. Per maggiori chiarimenti sul punto leggi Cosa si può fare sul balcone di casa?

Tra i diritti inerenti alla proprietà privata rientra anche quello di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento a condizione che ciò non implichi un particolare aggravio o un malfunzionamento all’impianto comune. Non c’è bisogno di chiedere un’autorizzazione all’assemblea o all’amministratore. A quest’ultimo andrà solo data la comunicazione a lavori eseguiti affinché decurti le spese di consumo dai millesimi del soggetto distaccato (che tuttavia continuerà a pagare le spese fisse di conservazione dell’impianto e la manutenzione dello stesso).

“Conosciamo i nostri diritti” in condominio: tutela della proprietà privata

da laleggepertutti.it

Tutela della proprietà privata

Al fine di tutelare la proprietà privata, il condomino è libero di installare dei doppi infissio delle inferriate poiché, secondo la giurisprudenza, prevale l’esigenza della sicurezza che non il piccolo danno all’estetica dell’edificio.

Allo stesso modo il condomino può installare un impianto di videosorveglianza sul pianerottolo di casa. Attenzione però: per non incorrere nel reato di «interferenze illecite nella vita privata» (ossia nella lesione dell’altrui privacy) sarà necessario non puntare l’occhio della telecamera sugli spazi comuni o sulla porta del vicino.

Sempre a tutela della propria privacy si ha il diritto di non mettere la targhetta col proprio nome sul citofono. L’amministratore non può imporre infatti di rendere riconoscibili i nomi dei proprietari.Sempre a tutela della propria privacy si ha il diritto di non mettere la targhetta col proprio nome sul citofono. L’amministratore non può imporre infatti di rendere riconoscibili i nomi dei proprietari.

“Conosciamo i nostri diritti” in condominio: uso delle parti comuni

da laleggepertutti.it

Le norme di riferimento in condominio

Prima di elencare quali sono i diritti di chi vive in condominio andiamo a vedere cosa dice la legge. Due sono gli interessi che il condomino intende tutelare: la proprietà del proprio appartamento(che è una proprietà esclusiva e integrale) e la proprietà delle parti comuni del palazzo (che invece è una proprietà condivisa e per una semplice quota pari al valore dei propri millesimi).

Per quanto riguarda la proprietà dell’appartamento vigono le stesse regole (e quindi i medesimi diritti e doveri) di qualsiasi altro immobile. Inutile stare a dire quindi che il titolare può fare del proprio appartamento ciò che vuole: può fare lavori di ristrutturazione, modificare la piantina, cambiare la destinazione d’uso (ad esempio adibirlo a uso ufficio o attività commerciale), ricevere ospiti o clienti; può affittare stanze o farne un bed and breakfast. Tutto ciò rientra nei poteri del proprietario, salvo che il regolamento di condominio lo vieti espressamente. Affinché il regolamento possa vietare al proprietario dell’immobile un particolare uso o attività (fosse anche lo stendere i panni o collocare vasi da fiore dal balcone) dovrebbe essere approvato all’unanimità. L’unanimità costituisce infatti una sorta di autolimitazione al diritto di proprietà che lo stesso titolare ha voluto ed acconsentito; per cui solo così sono valide le limitazioni all’uso dell’immobile. Affinché tali limiti siano poi validi e opponibili nei confronti dei successivi acquirenti dell’appartamento, il regolamento di condominio deve essere trascritto nei pubblici registri immobiliari (insieme all’immobile in questione) oppure allegato all’atto stesso di vendita.

Uso delle parti comuni del palazzo

Più limitato è il diritto del condomino all’uso delle parti comuni dell’edificio: dai muri perimetrali alle parti interne (scale, androne, garage sotterraneo), dal cortile alla terrazza che copre l’edificio o, in sua assenza, il tetto. Qui vige il seguente principio: ciascun condomino può utilizzare le parti comuni dell’edificio purché rispetti le seguenti regole:

  • non può impedire agli altri condomini di fare lo stesso uso del bene. Questo significa, ad esempio, che si può ben utilizzare il tetto del palazzo per apporre un impianto fotovoltaico a condizione che si lasci lo spazio necessario anche agli altri per fare altrettanto; si può parcheggiare un’auto del cortile scoperto ma non anche la seconda o la terza o un camper, togliendo spazio agli altri; si può utilizzare il lastrico solare (meglio conosciuto come “terrazza”) ma non impedire agli altri condomini di accedervi e farne magari lo stesso uso (ad esempio per stendere i panni o come ripostiglio);
  • non utilizzare il bene per uno scopo diverso rispetto a quello per il quale è nato (dovere di non modificare la destinazione d’uso). Ad esempio, anche se non si dà fastidio a nessuno, non si può lasciare la bicicletta o la moto nell’androne dell’edificio, legata con un lucchetto all’inferriata delle scale, poiché l’ingresso ha un’altra funzione; non si può utilizzare il giardino come parco giochi dei bambini o, viceversa, il parcheggio per creare un campo di calcio;
  • nel momento in cui si intende eseguire una costruzione, all’interno o all’esterno del proprio appartamento (si pensi a una veranda che copra il balcone) non si può pregiudicare la stabilità del palazzo né si può ledere il suo decoro architettonico (ossia l’estetica).

Nel rispetto di tali limiti è possibile quindi utilizzare le parti comuni dell’edificio senza dover chiedere il permesso a nessuno. Ad esempio è possibile:

  • installare l’antenna sul tetto dell’edificio;
  • installare sulla terrazza un pannello fotovoltaico e poi far transitare i fili all’estero del palazzo;
  • piantare dei fiori o degli “odori” sulle aiuole del condominio (ad esempio prezzemolo, basilico, ecc.);
  • apporre una targa sul muto del palazzo in caso di studi professionali o altre attività commerciali;
  • usare la terrazza di copertura per posare oggetti propri o per stendere i panni o come angolo per prendere il sole;
  • apporre un condizionatore sulla facciata dell’edificio (se non lede il decoro);
  • far passare fili in prossimità del balcone del vicino di casa. Questo significa che nessun condomino potrà opporsi a che i tecnici della televisione ancorino i cavi dell’antenna alla parete dell’edificio senza passare sulle proprietà private;
  • aprire un varco o una porta su un muro condominiale, magari per consentire l’accesso alla proprietà esclusiva di uno dei condomini. Ogni condomino ha infatti diritto di apportare le modifiche che gli consentono un’utilità supplementare rispetto agli altri condòmini. Come detto sopra, tale facoltà è concessa a condizione che non venga impedito il concorrente utilizzo del bene comune, che non ne sia alterata la naturale destinazione e che non venga pregiudicata la stabilità e il decoro dell’edificio condominiale;
  • creare una veranda sul proprio terrazzo senza dover per questo chiedere il permesso all’amministratore o all’assemblea (salvi ovviamente i permessi amministrativi del Comune). Anche in questo caso, sarà necessario rispettare l’estetica della facciata;
  • sopraelevare sull’ultimo piano creando un’altra costruzione (leggi Si può sopraelevare sull’ultimo piano?).

Nel caso di persona con disabilità, essa può chiedere all’assemblea che vengano eseguiti lavori per l’abbattimento delle barriere architettoniche, addossando i costi alla compagine condominiale secondo millesimi. L’assemblea approva a maggioranza dei presenti che devono costituire almeno la metà dei millesimi dell’edificio. Se il voto è negativo, l’interessato può ugualmente provvedere ai lavori, ma assumendone i costi personalmente.

Uso dei servizi e degli spazi comuni

Spesso le dispute tra i condomini riguardano l’uso delle parti comuni e dei servizi come, ad esempio, l’ascensore. Ciascun condomino può utilizzare l’ascensore o bloccarlo per qualche secondo senza perciò temere contestazioni da parte degli altri condomini. Può allo stesso tempo utilizzare il giardino, il campo di calcio o di tennis, la piscina e tutto ciò che offre il condominio senza dover rispettare turni, salvo siano disposti dall’assemblea.

Eccezionalmente l’amministratore di condominio può inibire l’uso dei servizi comuni suscettibili di godimento separato nei confronti di chi non paga le quote (si pensi alla restituzione del telecomando per la sbarra del parcheggio comune, all’utilizzo dell’ascensore con delle schede rilasciate solo a chi è in regola con i pagamenti). A riguardo la giurisprudenza ritiene che non si possa togliere l’acqua o il riscaldamento al moroso trattandosi di beni indispensabili alla sopravvivenza.

Si può usare il marciapiede condominiale per lasciare cibo in pasto ai randagi a condizione che si lasci il luogo pulito e ciò non costituisca un rischio per l’igiene e la sicurezza dei condomini (si pensi alla possibilità che topi e insetti vadano ad attingere dagli avanzi).

Divorzio, la legge sull’assegno: carcere per chi non paga

da ilgiornale.it

Da domani infatti entra in vigore l’articolo 570 bis del codice penale che prevede il carcere fino a un anno o una multa fino a 1.032 euro per l’ex coniuge che si sottrae “agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge”.

Si amplia la tutela legale che il codice penale offre in ambito familiare, sia da un punto di vista soggettivo (tutela estesa dai soli discendenti anche agli ex coniugi) che oggettivo (il reato verrà commesso non solo da chi faccia mancare i mezzi di sussistenza, ma anche da chi ometta di versare l’assegno di mantenimento)“, spiega all’Adnkronos l’avvocato Giuseppe Mauro, specializzato in diritto di famiglia. “L’art. 570 limitava la pena al genitore che faceva mancare i mezzi di sussistenza ai propri discendenti, generalmente ai propri figli. Ora quelle pene si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli

Fino ad oggi il reato, punibile penalmente, si generava solo nel caso in cui il coniuge facesse mancare al figlio cibo, vestiti o una casa dove avitare. Ma non a chi, spiega Mauro, “a fronte di un assegno di mantenimento di 1000 euro, decideva arbitrariamente di versarne 500“.

Il carcere è solo una minaccia? Secondo l’avvocato Marco Meliti “la legge serve da ammonimento”, ma dopo “più sentenze il carcere è davvero un rischio”.

 

 

Parcheggi in condominio insufficienti? E’ inadempimento del costruttore

da altalex.com

Cosa succede se i parcheggi all’interno di un condominio non sono sufficienti? Si rappresenta un inadempimento del costruttore.

Così hanno precisato i giudici della Suprema Corte di Cassazione nella decisione del 16 febbraio 2018 n. 3842, ricordando che ai sensi e per gli effetti di cui alla Legge 1150/1942 (nello specifico all’articolo 41 sexies) nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle stesse, devono essere riservati idonei ed appositi spazi per i parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione.

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Violenza domestica in condominio: l’omertà è un reato?

da studiocataldi.it

Quello della violenza domestica è un allarme sempre acceso e le recenti storie di cronaca confermano che, purtroppo, la famiglia non per tutti rappresenta un porto sicuro nel quale rifugiarsi ma che anzi troppo spesso diviene un luogo dal quale fuggire.

Il ruolo dei vicini di casa

Specie nei condomini sono tante, troppe, le persone che sanno e non agiscono, che preferiscono chiudere gli occhi, tappare le orecchie e fingere di non sapere che al di là del muro ci sono storie di donne maltrattate o bambini ai quali viene quotidianamente rubato un pezzo di infanzia.

Invece, molte volte gettare lo sguardo oltre i confini del proprio appartamento e tentare di intervenire nelle vicende familiari altrui non è una mancanza di rispetto o una violazione della privacy, ma un atto dovuto che può evitare tante tragedie. E ciò anche se il dovere è solo morale e non giuridico.

Niente reato per l’omertà

Il nostro sistema penalistico, infatti, non considera l’omertà come un reato, salvo alcuni casi specifici ed eccezionali in cui l’omessa denuncia assume rilevanza giuridica.

Di conseguenza, a tacere non si rischia niente o meglio: non si rischia di dover fare i conti con la legge. Magari, però, con la propria coscienza sì.

Si evitano, insomma, beghe con la giustizia e con i vicini ma non sempre si riesce a evitare il rimorso di non aver agito e di non aver provato a combattere contro qualcosa che, magari, poteva essere vinto.

L’omessa denuncia

Si è detto che in alcuni casi eccezionali l’omessa denuncia diventa penalmente rilevante.

Per completezza va allora precisato che tale fattispecie di reato è integrata dal pubblico ufficiale quando omette o ritarda di denunciare all’Autorità giudiziaria, o a un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni.