Convocazione di un condomino residente all’estero

da condominioweb.com

e uno dei condòmini è residente all’estero, quanto tempo prima dello svolgimento dell’assemblea bisogna comunicargli l’avviso di convocazione?

Questa, nella sostanza, la domanda che ci viene fatta da un nostro lettore, giovane amministratore di condominio, riguardo ad un caso che gli è capitato di affrontare.

La questione è sicuramente interessante e per chi è addentro alla materia delle comunicazioni/notificazioni, sicuramente foriera di qualche dubbio, posto che in ambito processuale le differenze esistono.

Entriamo nel dettaglio.

Comunicazione dell’avviso di convocazione

Com’è noto la materia è stata oggetto di rimaneggiamento ad opera della legge n. 220 del 2012, la così detta riforma del condominio.

Come ed entro quali termini va comunicato l’avviso di convocazione?

L’art. 66 delle disposizioni di attuazione specifica che il documento in esame dev’essere comunicato:

  • a mezzo raccomandata;
  • per fax;
  • via p.e.c.;
  • tramite consegna a mani.

=> Avviso di convocazione dell’assemblea in caso di assenza del condomino.

Quanto al termine, è specificato che l’avviso dev’essere comunicato entro cinque giorni dallo svolgimento dell’assemblea in prima convocazione.

La giurisprudenza – ormai consolidata – ha chiarito che per comunicazione bisogna intendere ricezione dell’avviso di convocazione entro il termine indicato.

Quanto al conteggio, anche qui è pacifico che si tratti di giorni non liberi, ossia che nel computo non va considerato il giorno di ricezione, ma si deve conteggiare quello di svolgimento in prima convocazione.

Esempio: ricevo la convocazione il giorno 1, il conteggio inizia dal giorno 2, allora l’avviso di convocazione sarà tempestivo se la prima convocazione è indetta non prima del giorno 6.

Quanto al concetto di ricezione, anche qui non vi sono dubbi. Come ha più volte affermato la Suprema Corte di Cassazione, la ricezione si dà per avvenuta, se non avvenuta in mani proprie del destinatario o di un suo delegato, al momento della immissione nella cassetta postale dell’avviso di giacenza del plico (così, tra le tante, Cass. 6 ottobre 2016 n. 23396), addirittura non considerandosi la circostanza che poi il plico sia reso immediatamente disponibile.

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Condominio senza colpe per chi scivola sulle scale

da italiaoggi.it

Il condomino che scivola sulle scale a causa di una macchia di olio non deve essere risarcito dal condominio, trattandosi di un fatto che esula dalla responsabilità di quest’ultimo e non può essere né previsto né evitato. Questa la decisione della Corte di cassazione contenuta nella recente sentenza della terza sezione civile n. 10154 dello scorso 27 aprile 2018.

Il caso concreto. Nella specie un condomino aveva chiamato in giudizio il proprio condominio, in persona dell’amministratore, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti a seguito di una brutta caduta rimediata cadendo sulle scale a causa della presenza di sostanze oleose presenti sul pavimento. Il condominio si era però costituito nel procedimento per contestare la fondatezza della domanda e, in ogni caso, aveva chiesto di essere autorizzato a chiamare a sua volta in giudizio la propria compagnia assicuratrice per essere manlevato in caso di condanna. L’autorizzazione alla chiamata del terzo era stata concessa e la compagnia assicuratrice, nel costituirsi nella causa, si era associata alla richiesta di rigetto della domanda di risarcimento, deducendone l’infondatezza. Il tribunale, istruita la causa, aveva quindi respinto la domanda del condomino attore, compensando tuttavia fra le parti le spese di lite.

Quest’ultimo aveva quindi provveduto ad appellare la sentenza, riproponendo la propria richiesta di risarcimento e nel giudizio di secondo grado avevano provveduto a costituirsi sia il condominio che la compagnia assicuratrice. Anche la Corte di appello aveva però giudicato infondata detta domanda e aveva condannato l’appellante al rimborso alle parti appellate delle spese di quel grado del giudizio. Di qui la decisione del condomino di presentare ricorso in Cassazione. Dinanzi alla Suprema corte aveva quindi resistito con controricorso il solo condominio, mentre la società di assicurazioni non aveva svolto attività difensiva.

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Quando scadono le tasse?

da laleggepertutti.it

Se c’è un capitolo sempre aperto quando si parla di fisco è quello relativo alla prescrizione: i termini entro cui le tasse scadono dividono spesso i giudici. Il che può apparire un controsenso: il concetto stesso di «termine» presuppone una data certa perché fino a un giorno prima lo Stato può legittimamente pretendere il pagamento delle proprie spettanze e, in caso contrario, procedere al pignoramento dei beni del contribuente, ma già il giorno dopo ogni sua richiesta è fuorilegge. Chi cerca su internet “quando scadono le tasse” noterà che esistono diverse interpretazioni sostenute da molteplici sentenze, anche se una tesi “maggioritaria” può essere comunque tracciata. Forse, nel momento in cui ci si chiede quando scadono le tasse ci si riferisce alle imposte maggiormente evase, Irpef, Iva e bollo auto su tutte. E proprio con riferimento alla prescrizione Irpef è intervenuta una sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia a scardinare quello che appariva un principio ormai consolidato: quello della prescrizione decennale. Ma procediamo con ordine.

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Un single che vuole adottare un bimbo: ecco cosa dice la legge

da repubblica.it

Il desiderio di una donna single di adottare un bambino è un atto di puro egoismo o un gesto di profondo amore? Un bambino, orfano o abbandonato, ha solo il diritto di entrare a far parte di un contesto familiare composto da due persone di riferimento o può ricevere la stessa e giusta dose d’amore anche da una donna sola, priva di una vita sentimentale stabile? Queste domande sorgono spontanee e scuotono le coscienze di ognuno di noi, quando una donna single (che lo sia per scelta o per sfortuna), manifesta la volontà di adottare un minore.

Ed è così che ci si schiera tra i tradizionalisti – che pensano alla famiglia “normale e tipica” solo se i genitori sono due (e possibilmente, di sesso diverso) e definiscono “egoista” far prevalere il desiderio di maternità di una donna sul diritto alla bigenitorialità del bambino – o tra gli avanguardisti, che guardano al “succo della questione” e ammirano la forza e la generosità di una persona singola che, pur consapevole delle problematicità e dei cambiamenti di vita che ne derivano, sceglie di lottare per “salvare” un bambino dalla condizione di vita alla quale sarebbe stato, diversamente, predestinato.
Cosa è veramente giusto nell’interesse prevalente e superiore del minore?

La “risposta giuridica” a questo dilemma è arrivata, lo scorso 14 febbraio, con un decreto del Tribunale per i Minorenni di Napoli. Chiamati a pronunciarsi sull’idoneità o meno di una donna single all’adozione di una minore bielorussa, i giudici partenopei hanno avallato il suo progetto adottivo: all’esito di un percorso affrontato con grande determinazione e per un lungo arco di tempo, la donna si è dimostrata fortemente motivata a prendersi cura della minore, con la quale aveva già instaurato un profondo vincolo di comunione e affetto. I giudici di merito, concentrandosi proprio sul prezioso legame affettivo creatosi tra la bimba e la donna, hanno ritenuto integrato uno dei casi di adozione, definiti “particolari” dall’art. 44 della Legge 184/83, nei quali è consentita l’adozione a persona non coniugata (alias, single): a) quando è richiesta da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo (ecco il caso di specie), anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento, se il minore sia orfano di padre e di madre; b) quando si è in presenza di minori orfani di entrambi i genitori; c) quando ci sia una contrastata possibilità di affidamento preadottivo.

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In Pakistan la legge non ferma i delitti d’onore

da internzionale.it

In Pakistan fa caldo, in modo soffocante e terrificante, ma il problema degli omicidi di donne (e di qualche uomo) in nome dell’onore non conosce battute d’arresto. Qualche settimana fa un uomo che ce l’aveva con le sorelle per una lite familiare ha cominciato a picchiarle con un bastone. Quando la nonna, centenaria, ha cercato di intervenire, ha cominciato a picchiare anche lei: l’età non conta davanti al privilegio maschile. Quando l’uomo si è deciso a fermarsi la nonna e una delle sue sorelle erano morte. L’altra sorella si trova in ospedale in condizioni critiche.

Prendiamo il mese di maggio. Il 1 un uomo ha ucciso a colpi di arma da fuoco sua sorella e il suo presunto spasimante a Charsadda. In un altro episodio una giovane coppia di Karachi si preparava ad andare a cena con la famiglia della moglie. I due si erano sposati per loro decisione due anni prima e la famiglia di lei non era d’accordo con questa relazione. Di ritorno dalla cena, il risciò in cui la coppia viaggiava (il marito era un conducente di risciò) è stato fermato da aggressori sconosciuti che hanno imbottito i loro corpi di proiettili. Entrambi sono morti.

Dai notiziari si è appreso che la polizia stava aspettando di contattare qualcuno nella famiglia del marito per una denuncia formale, poiché si ritiene che la famiglia della moglie sia coinvolta negli omicidi.

Copertura familiare
Questi sono solo gli ultimi episodi della tragedia in corso in Pakistan. In poco più di settant’anni di esistenza, il Pakistan si è dato un gran da fare per uccidere le sue donne e, in alcuni casi, i suoi uomini per “reati” come il rifiuto di un matrimonio, relazioni immaginarie in cui le accuse servono da giustificazione per la rabbia maschile, relazioni inventate che fanno da copertura ad altri motivi per ottenere un’eredità o sbarazzarsi di vicini inopportuni.

Quasi ogni contrasto si presta a sfociare in un delitto d’onore, una copertura grazie alla quale tutto il quartiere e la società si schierano dalla parte dell’omicida e chiudono un occhio se le indagini si impantanano e la giustizia passa in secondo piano.

Dall’entrata in vigore della legge, nel 2016, sono state uccise 1.280 persone in delitti d’onore

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Condomino non paga: si può staccare l’acqua?

da money.it

Non sempre è vietato staccare l’acqua al condomino che non paga: sebbene si tratti di un bene essenziale al moroso può essere sospesa l’erogazione del servizio idrico.

A dare nuove indicazioni sulla gestione della complessa vita di condominio è il Tribunale di Bologna che, con l’Ordinanza pubblicata il 3 aprile 2018, ha stabilito che non sempre è vietato staccare l’acqua al condomino che non paga la propria quota.

Nel caso di mancato pagamento dei consumi effettuati per più di sei mesi il condominio è autorizzato alla sospensione della fornitura di acqua e riscaldamento: le tutele introdotte dal DPCM del 26 agosto 2016, ovvero l’erogazione di un minimo di acqua anche ai condomini morosi, si applicano esclusivamente ai soggetti con documentato stato di disagio economico e sociale.

Un’interpretazione restrittiva della legge che ammette la possibilità di lasciare letteralmente a secco il condomino che non paga l’acqua e che non onora i propri debiti per più di sei mesi.

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Vano scala e condominio sicuro: cosa c’è da sapere

da lavorincasa.it

La casa è certamente il luogo per eccellenza in cui vogliamo sentirci sicuri, o almeno così dovrebbe essere. Molto spesso, accade che si abbia estrema cura degli interni delle nostre abitazioni ma poca attenzione all’esterno, soprattutto per chi abita in condominio.

Ogni condominio, infatti, racchiude una serie di potenziali pericoli per la sicurezza di chi ci vive o lavora, legati agli impianti, alla salubrità dell’acqua, alle componenti elettriche che non posso essere trascurati né ignorati.

I beni comuni condominiali

beni comuni sono le parti che compongono il contenitore condominio e delle quali gli abitanti ne detengono la proprietà, nel rispetto dei millesimi di proprietà, ovvero:

  1. il suolo su cui sorge l’edificio e sue pertinenze;
  2. le fondazioni, muri maestri, pilastri e travi portanti;
  3. le scale condominiali, portoni d’ingresso, vestiboli, anditi;
  4. i portici, cortili, giardini;
  5. le facciate;
  6. i locali per i servizi comuni, cioè la portineria, gli stenditoi, le lavanderie, i locali contatori, i sottotetti.

Questi beni, indipendentemente dal loro utilizzo, si usurano nel tempo.
Tutti gli immobili, infatti, anche se realizzati a regola d’arte e con ottimi materiali, sono soggetti a un processo di deterioramento che se non contrastato con controlli e interventi periodici può compromettere l’efficienza degli stessi e la sicurezza di chi ci abita.

Per rendere più vicino a noi il concetto di usura delle parti comuni possiamo pensare al numero di volte in cui il portone di ingresso viene aperto e chiuso nell’arco di una sola giornata o a quante volta venga utilizzato l’interruttore della luce delle scale. L’unica soluzione per contrastare il degrado naturale dei materiali da costruzione e l’usura a cui è sottoposto il manufatto edilizio risiede quindi in una corretta e periodica manutenzione.

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Consumi acqua condominio, quali regole? Come si ripartiscono?

da lentepubblica.it

L’oggetto della richiesta al tribunale consiste nella richiesta di “modifica del Regolamento Condominiale, nella parte relativa al criterio di ripartizione delle spese afferenti i consumi di acqua nel condominio, previo accertamento della lesività dei diritti dei condomini.

 

Le spese relative all’erogazione di acqua potabile sarebbero aumentate in misura rilevante. Per questo i condomini hanno chiesto disporsi la sostituzione dell’art 8 del regolamento condominiale – il quale stabilisce che il criterio di riparto delle spese relative all’impianto di acquedotto ed al consumo di acqua potabile è quello dei millesimi – con altro criterio di riparto delle spese che tenga conto della diversa destinazione d’uso delle unità occupate.

 

Ciò nonostante, il Tribunale dispone che tale domanda è del tutto inammissibile. Il regolamento condominiale, che nel caso di specie ha natura contrattuale in quanto predisposto dall’originario unico proprietario, menziona espressamente alla clausola 8 il criterio di ripartizione delle spese afferenti i consumi di acqua oggetto dell’odierna contestazione.

 

Non rientra nel potere dell’autorità giudiziaria quello di modificare il regolamento condominiale ed i criteri di riparto ivi stabiliti, non potendosi superare la volontà dell’assemblea dei condomini, che è sovrana.

 

Questo nei casi di contatore condominiale unico. Qualora l’edificio si avvalesse invece di «contatori a discarica», ossia di apparecchi che segnano il consumo di ogni singolo appartamento, si eviterebbero discriminazioni con una misurazione puntuale dei consumi. In tal caso sarebbero gli stessi contatori a segnare quanto ogni singolo proprietario deve pagare per il consumo idrico fatto.

 

Come ripartire il compenso dell’amministratore condominiale

da fiscoetasse.com

Secondo quale criterio si suddividono tra i condòmini le spese relative al compenso dell’amministratore?

Molti sono gli elementi da tenere in considerazione per poter dare una risposta:

  • in base alla proprietà
  • in base all’uso

tenendo conto che l’attività dell’amministratore è svolta nell’interesse comune.

Poi bisogna considerare l’immobile dato in locazione o quello detenuto in qualità di usufrutturario, ricordando che dopo la riforma la responsabilità tra usufruttuario e nudo proprietario è in solido.

Ma vediamo nel dettaglio:

Criteri legali di riparto delle spese in condominio

Ricordiamo che i criteri previsti dalla legge con riferimento al riparto delle spese condominiali sono quello “in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione“, e quello in “proporzione dell’uso che ciascuno può farne“; il primo si applica alle “spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza”, mentre il secondo  per le “cose destinate a servire i condomini in misura diversa”; inoltre, nel caso di condominio parziale, cioè “qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità” (v. art. 1123 c.c.).

L’attività dell’amministratore è un servizio esercitato nell’interesse comune

L’attività dell’amministratore costituisce senz’altro un servizio svolto nell’interesse comune.
In qualità di mandatario, egli gestisce il condominio nell’interesse di tutti: come si evince dai compiti conferitigli dalla legge (v. in particolare artt. 1129 e 1130 c.c) l’attività dell’amministratore di condominio è in ultima analisi sostanzialmente deputata alla gestione e tutela delle parti comuni.
Inoltre, nello svolgimento delle proprie competenze, l’amministratore agisce in nome e per conto di tutti.
Dunque, non v’è alcun dubbio che la sua opera riguardi l’interesse comune.
Pertanto, il riparto della spesa dovrà essere effettuato in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (ex art. 1123 co.1, c.c.), salvo una diversa convenzione, la quale deve essere assunta dai condòmini all’unanimità.

Riparto del compenso dell’amministratore e locazione

L’art. 9 L. 392/1978 (Legge intitolata “Disciplina delle locazioni di immobili urbani”) non include il compenso dell’amministratore tra gli oneri che spetta al conduttore pagare.
Nel caso in cui l’unità immobiliare sia locata, dunque, nel silenzio della legge, secondo la giurisprudenza il pagamento spetta al locatore.

Riparto compenso amministratore e usufrutto

Nel caso sull’immobile sia stato costituito diritto di usufrutto, il riparto sarà quello indicato dagli artt. 1004 e 1005 c.c.: il compenso sarà dunque dovuto dall’usufruttuario per quanto concerne la gestione e la manutenzione ordinaria e non per la manutenzione straordinaria. Salvo, però, a parere di chi scrive, egli non abbia votato per l’esecuzione di alcuni interventi di carattere straordinario, come ammesso, a seguito dalla riforma dall’art. 67, co. 7, Disp. att. e trans. c.c. In tal caso, sempre secondo chi scrive, salvo il rimborso previsto dalle norme richiamate dall’art. 67, co. 7 (artt. 1006, 985 e 986 c.c.), le spese dovranno essere poste in capo all’usufruttuario.
Per quanto complicato, in realtà si tratta di un falso problema, giacchè dopo la riforma usufruttuario e nudo proprietario sono oggi responsabili in solido verso il condominio.
Infine, ricordiamo che nel caso di condominio parziale troverà applicazione anche  per il compenso dell’amministratore l’art. 1123, co.3: dunque, nel caso di attività svolta nel solo interesse del condominio parziale (ad es. attività straordinaria per manutenzione straordinaria), le spese andranno ripartite solo tra i condomini interessati.”

Auto danneggiata in sosta: come ottenere il risarcimento

da motorionline.com

Gli incidenti o i danneggiamenti possono avvenire anche a vettura ferma e in una grande città accadono spesso. Ecco come ottenere un indennizzo dalla propria assicurazione

Chi possiede un’auto sa bene che gli inconvenienti non capitano soltanto in strada o in autostrada, ma possono avvenire anche a vettura ferma. Qualche esempio? Un automobilista distratto vi danneggia la macchina uscendo in modo maldestro da un parcheggio, oppure (nei casi peggiori) vi ritrovate la carrozzeria tutta rigata, le gomme tagliate o i vetri in frantumi.

Purtroppo si tratta di casi frequenti e che in una grande città (dove magari, non disponendo di un box auto, si parcheggia fuori) accadono più spesso rispetto a un piccolo paese. A questo punto è doveroso chiedersi: come si può fare per ottenere un indennizzo dalla propria assicurazione?

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